Louis Bromfield : Autunno

Q uando lo sguardo si posa per la prima volta sulla copertina di Autunno , dello scrittore americano Louis Bromfield , a catturare l'attenzione non sono né il titolo - di per sé piuttosto banale - né il nome dell'autore - ai più pressoché sconosciuto - bensì la graziosa illustrazione realizzata in origine da Pierre Brissaud per la rivista parigina La Gazette du Bon Ton , in cui sono ritratte alla perfezione tutte le sfumature della stagione autunnale: i caldi colori della natura che muta aspetto, il soffio sottile e persistente dei primi venti settembrini, e il palpabile velo di malinconia che pervade il periodo dell'anno in cui cadono le foglie, quasi a suggerire un'analogia - implicita eppure percettibilissima - con la vita che scorre inesorabile verso l'epoca della maturità , tra i rimpianti per un'esistenza ormai trascorsa e l'impossibilità di recuperare il tempo perso. D'altro canto è proprio così che andrebbe interpretato quell' Autunno -

Stefan Zweig: Maria Stuarda.
Storia di due regine, storia di due donne.

Restituire ai personaggi storici la loro dimensione umana: ecco il grande merito di Stefan Zweig.
Può sembrare banale, ma se c'è qualcosa di veramente sorprendente in quest'opera dedicata a Maria Stuarda, è proprio la singolare bravura dell'autore nel ricordarci che dietro quei nomi stampati nei libri di Storia, oltre quelle figure ritratte sulla tela e celebrate nei poemi, vi sono stati innanzitutto degli esseri umani, delle persone in carne ed ossa con sentimenti, pensieri, aspirazioni e sofferenze; con un mondo interiore, insomma, simile in tutto e per tutto a quello di qualsiasi uomo o donna dei giorni nostri.
Certo, occorre calarsi nella mentalità dell'epoca, accogliere di buon grado i valori di un mondo in cui, per un trono, si uccidevano i propri consanguinei, e comprendere le logiche di una società che considerava moralmente accettabile sacrificare innocenti ragazzine sull'altare del matrimonio al fine di trarne vantaggi politici...
Ciò che resta al di là di tutto ciò, però, è una vicenda dal fascino immutabile, tra le cui pagine si nascondono verità e riflessioni ancora oggi attualissime.

Maria Stuarda (François Clouet, 1558)
Era nata in un tetro giorno di dicembre, Mary Stuart (Maria Stuarda, secondo la ben nota traduzione italiana), sullo sfondo di una Scozia 
“tragica, dilaniata da fosche passioni, cupa e romantica come una ballata”.
Proclamata regina nei primi giorni di vita, educata in Francia per diventarne sovrana ancora adolescente, e rientrata poi nella sua terra d'origine sulla scia di un oscuro presagio di sventura, Mary visse una vita degna dell'eroina di un grande romanzo: una vita interamente trascorsa tra complotti, intrighi, tragedie e amori; costellata di interminabili conflitti e dure prove; una vita, soprattutto, vissuta intensamente fino all'ultimo istante, fino a quell' 8 febbraio 1587 che, avvolta nel suo abito più bello, la vide avviarsi a testa alta verso il patibolo - martire secondo alcuni, assassina irredenta secondo altri - protagonista di un dramma che avrebbe segnato un punto di non ritorno nella storia della monarchia europea. Per la prima volta infatti veniva pubblicamente sconfessato il dogma dell'intoccabilità del sovrano consacrato da Dio: per la prima volta - la prima di una lunga serie - una regina cristiana veniva giustiziata.

“Nella mia fine è il mio principio” 
aveva scritto una volta Mary, e in quella frase profetica, a suo tempo appuntata su un lavoro di ricamo, era racchiuso tutto il suo destino. La Storia le ha dato ragione: quella morte atroce, ritratta con sorprendente realismo nell'indimenticabile cronaca di Zweig, avrebbe segnato l'inizio della sua leggenda.

Benché il soggetto vi si presti facilmente, e gli stessi protagonisti somiglino da vicino agli attori di un grande dramma teatrale, ciò che ho apprezzato in modo particolare nell'opera di Zweig è stata la scelta di evitare accuratamente ogni reinterpretazione della Storia in chiave romanzata: la minuziosa descrizione psicologica dei personaggi e la ricostruzione storica, a volte documentate dettagliatamente, altre fondate soprattutto su deduzioni, poggiano interamente su fonti realmente rinvenute e sono il frutto di un attento lavoro di ricerca attraverso il quale l'autore, senza l'inflessibile rigore dello studioso o la prosopopea del saggista, ma con la semplicità e il trasporto dell'autentico amante della Storia, ripercorre la travagliata esistenza di Mary Stuart, delineandone virtù, debolezze e contraddizioni, e dando vita, prima ancora che al ritratto di una regina, a quello sofferto e umanissimo di una donna.
E così, la Mary che impariamo a conoscere attraverso le parole del suo biografo è innanzitutto una giovane spontanea, impulsiva, assetata di vita e di arte; una ragazza trasparente, fiduciosa, e completamente inesperta, che le circostanze trasformeranno pian piano in una persona capace di dissimulare, di calpestare i propri princìpi, il proprio orgoglio e, a un tratto, perfino la sua stessa dignità, precipitando inevitabilmente verso la distruzione.

“Nulla ha volto in tragedia il percorso della vita di Maria Stuarda quanto il fatto che il destino le ha messo in mano tutta la possibile potenza terrena, in modo così ingannevolmente facile [...] chi è stato così presto il numero uno di un Paese e del mondo, non potrà mai più accontentarsi di una vita mediocre. Solo le nature deboli rinunciano e dimenticano, quelle forti non si piegano e sfidano anche il destino più potente.”

E niente, infatti, potrà piegare Mary Stuart, questa donna fiera, indomita, testarda, in grado di sopportare le offese personali e le maldicenze, ma non gli attacchi alla propria regalità; disposta a lottare, perfino a spezzarsi se necessario, ma mai a cedere, mai a chinare il capo di fronte agli oppositori. Solo una forza superiore potrà costringerla a piegarsi, infrangendo irreparabilmente le barriere della sua anima: l'amore.
D'altro canto, se è vero, come asserisce Zweig, che

“solo la passione rivela in una donna il suo io più profondo”  

non deve meravigliare che per comprendere davvero la complessa personalità di questa giovane regina sia necessario passare in rassegna tutte le tappe della sua vita sentimentale: il matrimonio di convenienza con Francesco I di Francia, contratto quando era poco più che una bambina; l'amore e le incaute nozze col vile arrivista Henry Darnley (apertamente disprezzato dallo stesso Zweig); e soprattutto la travolgente e rovinosa passione per l'ambiguo Lord Bothwell, che costerà a Mary il potere, l'onore, e infine la vita stessa.
È qui che la penna di Stefan Zweig ci regala pagine di straordinaria intensità; le riflessioni sugli stati d'animo, il racconto coinvolgente, e l'accuratissima analisi interiore prevalgono nettamente sulla componente storica: non importa che l'oggetto della speculazione sia una figura realmente esistita; né che la donna in questione sia un personaggio tra i più complessi e controversi che la Storia moderna abbia conosciuto: ciò che rimane impresso e cattura il lettore è prima di tutto il profilo psicologico dell'essere umano.

Elisabetta I (William Segar, 1585)
Mary Stuart, tuttavia, non sarebbe stata la grande protagonista che fu se a farle da contrappeso non vi fosse stata un'altra donna di eguale se non maggior levatura: sua cugina Elizabeth: quella Elisabetta I passata alla Storia come la Regina Vergine, fautrice e massima espressione del periodo d'oro della monarchia inglese che, tra le altre cose, vide nascere e risplendere la fulgida stella di William Shakespeare. Il libro di Zweig, in fondo, è un po'anche la sua biografia.
È estremamente interessante assistere al confronto tra queste due gigantesche figure: l'una eterna nemesi dell'altra; dotate entrambe di grande forza di carattere, determinazione, fierezza, ma con due modi radicalmente opposti di interpretare il proprio ruolo.
Da un lato vediamo Elizabeth - una regina prima che una donna - che non esita a sacrificare se stessa e la propria felicità per amore di un Paese e di una corona così faticosamente conquistati; una creatura accorta, intelligente, se vogliamo anche insicura, ma per questo ancor più scrupolosa e saggia nella gestione del potere.
Dall'altro lato, troviamo invece Mary - una donna prima che una regina - che confida nella sacralità del proprio diritto a governare e pertanto lo esercita con spavalderia e, talvolta, con leggerezza; un essere umano che non riesce, forse perché non ha dovuto lottare per arrivare in alto, ad anteporre il dovere di regnante alle necessità della sua natura femminile.
Irrimediabilmente divise eppure unite in modo inesorabile, condannate ad un'inconciliabile rivalità umana prima ancora che politica, Mary ed Elizabeth non s'incontreranno mai in vita: solo il sonno eterno le vedrà per la prima volta vicine, nell'abbazia di Westminster, come a simboleggiare finalmente la cessazione dei conflitti e la conseguente unione, avvenuta per mano di Giacomo I - figlio di Mary - dei loro due regni.

Vanessa Redgrave (Maria Stuarda) e Glenda Jackson (Elisabetta I) in una scena di "Maria Stuarda, regina di Scozia" (1971)

Sarebbe troppo semplicistico descrivere il lavoro di Stefan Zweig come una mera biografia, sono molte, infatti, le contaminazioni stilistiche e letterarie che lo caratterizzano: ne sono un esempio le memorabili digressioni introspettive di cui il testo è costellato, la tragica rievocazione della congiura di Holyrood, o il bellissimo capitolo dedicato ai tormenti di Mary nella notte di Glasgow, in cui spuntano riuscitissimi parallelismi coi personaggi di Amleto e Lady Macbeth.
Non mancano, certo, neanche le pecche: dall'abituale ridondanza in cui sempre inciampa Zweig, alla palese mancanza di obiettività evidente soprattutto quando, spinto da una chiara predilezione per la sua eroina, lo scrittore azzarda discutibili tentativi di difenderla o giustificarne le gesta.
L'aspetto però più irritante, a mio avviso, è l'inconscio punto di vista maschilista che affiora occasionalmente tra le pagine. Perché, ahimè, non lo si può proprio negare: insinuare che un uomo come Bothwell - aggressivo, prepotente, villano, lontanissimo insomma dall'eroe romantico con cui lo si è spesso identificato al cinema - rappresenti l'ideale maschile a cui ogni donna aspira, o attribuire la scelta di Elizabeth di non sposarsi e la sua reticenza nel concedersi a un uomo, a degli ipotetici difetti fisici o quantomeno psicologici, significa davvero adottare un'ottica miope e superficiale, e significa altresì pretendere di valutare i più intimi sentimenti di un essere umano basandosi essenzialmente su vuoti stereotipi che poca o nessuna attinenza hanno con la realtà.
Una caduta di stile che tuttavia non basta a sminuire il valore e la bellezza un'opera letteraria che - luoghi comuni a parte - conquista proprio per la genuinità con cui è scritta, oltre che, naturalmente, per la straordinarietà del suo soggetto.
Del resto non dovremmo stupirci se oltre quattrocento anni dopo la sua morte, la storia di Mary Stuart continua ad affascinare e ad ispirare scrittori, sceneggiatori e lettori: la ragione, infine, ce la spiega lo stesso Stefan Zweig:

“Tutte le volte che una persona nobile di carattere vive fino alla fine la propria esistenza come poesia, dramma, ballata, ci saranno sempre poeti che la canteranno, infondendole nuova vita.”
 Holyroodhouse Palace a Edimburgo, dimora di Maria Stuarda (immagine del Royal Collection Trust). 
Il palazzo è attualmente la residenza ufficiale della Regina Elisabetta durante i suoi soggiorni in Scozia.

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