Louis Bromfield : Autunno

Q uando lo sguardo si posa per la prima volta sulla copertina di Autunno , dello scrittore americano Louis Bromfield , a catturare l'attenzione non sono né il titolo - di per sé piuttosto banale - né il nome dell'autore - ai più pressoché sconosciuto - bensì la graziosa illustrazione realizzata in origine da Pierre Brissaud per la rivista parigina La Gazette du Bon Ton , in cui sono ritratte alla perfezione tutte le sfumature della stagione autunnale: i caldi colori della natura che muta aspetto, il soffio sottile e persistente dei primi venti settembrini, e il palpabile velo di malinconia che pervade il periodo dell'anno in cui cadono le foglie, quasi a suggerire un'analogia - implicita eppure percettibilissima - con la vita che scorre inesorabile verso l'epoca della maturità , tra i rimpianti per un'esistenza ormai trascorsa e l'impossibilità di recuperare il tempo perso. D'altro canto è proprio così che andrebbe interpretato quell' Autunno -

Thomas Hardy: Il ritorno alla brughiera.
L'eterna tragedia dell'essere umano.

“Il luogo era certo un'intima conoscenza della notte, e quando la notte si affacciava, si poteva intuire l'evidente attrazione reciproca tra le sue ombre e il paesaggio. La cupa distesa di dossi e incavature sembrava levarsi incontro alle tenebre della sera in un'intesa perfetta: la brughiera effondeva buio alla stessa rapidità con cui lo precipitavano i cieli. E così l'oscurità dell'aria e l'oscurità della terra si ricongiungevano a mezza strada in una nera fratellanza...
Quando le altre cose sprofondavano pensose nel sonno, la brughiera pareva lentamente svegliarsi ed ascoltare. Ogni notte la sua forma titanica sembrava aspettare qualcosa; ma aveva atteso a quel modo, impassibile, lungo tanti secoli, attraverso talmente tante crisi, da far immaginare che ne attendesse un'ultima - il sovvertimento finale.”

Incontaminata culla di leggende ed usanze remote, dove la più severa religiosità si fonde con i riti ancestrali della tradizione pagana, la brughiera di Egdon si offre così ai nostri occhi, prendendo forma, attraverso le parole del narratore, in un affresco di rara intensità e incredibile vividezza, già adombrato però dal sentore di ambigui presagi.
Tra le righe di quella che a prima vista sembra solo una suggestiva descrizione paesaggistica, è impossibile non scorgere il ritratto, certo più umano ma non meno affascinante, di una giovane donna solitaria la cui sagoma scura, stagliandosi contro il cielo crepuscolare, pare dominare incontrastata la brughiera sottostante. 
 È la sera del 5 novembre, data dedicata in Inghilterra alla commemorazione della sventata Congiura delle polveri, e tra i falò che rischiarano l'altopiano per celebrare la ricorrenza, ce ne è uno che arde per ben altra ragione: è quello voluto da Eustacia Vye, questo il nome della misteriosa fanciulla che si aggira nel buio, l'antico richiamo che ella rivolgeva al suo perduto amante Damon Wildeve, un giovane oste con alle spalle un passato da ingegnere, che proprio quella mattina, se non fosse stato per un inconveniente burocratico, avrebbe dovuto unirsi in matrimonio con la timida Thomasin Yeobright.
Il destino però - implacabile nemesi di ogni protagonista hardiano che si rispetti - ha evidentemente in serbo qualcos'altro, e mentre il mancato - e assai riluttante - sposo s'interroga sul da farsi, l'incessante bagliore del fuoco gli riporta alla mente antichi ricordi, e le ceneri di un sentimento mai realmente sopito tornano pericolosamente ad infiammarsi.

Triangoli amorosi, verità non dette, fatali fraintendimenti, e sopra ogni altra cosa le atmosfere tragiche e sinistre dell'arcaico Wessex, scenario prediletto dall'autore, e vero perno della narrazione, forse ancor prima della trama e degli stessi personaggi.
The Return of the Native, una delle grandi opere della maturità artistica di Thomas Hardy, però, è molto più di questo.
Forte di una scrittura avvincente ed ipnotica, ed imbastito sul parallelismo tra uomo e natura, il romanzo, che si distingue tra l'altro per la particolare attualità delle tematiche affrontate - l'infrangersi delle proprie aspirazioni, il deteriorarsi delle relazioni coniugali nate su presupposti sbagliati, il rapporto di rivalità tra suocere e nuore - affonda le sue radici nell'anima della cultura classica, tra quei miti e quelle leggende che paiono riflettere ancora oggi il senso più profondo dell'esistenza umana.
Emblema di ciò, nonché elemento focale della storia, è la figura sfuggente e controversa di Eustacia, la Regina della Notte, come la definisce lo stesso Hardy:

“Eustacia Vye era divinità allo stato grezzo. Sull'Olimpo, con un po' di preparazione, avrebbe fatto una riuscita eccellente. Possedeva gli istinti e le passioni che rendono perfetta una dea, cioè quegli stessi che fanno di una donna il contrario della perfezione. (...)
Era di forme rotonde e un po' pesanti; né rosea né pallida, e lieve al tatto come una nuvola. Vedere i suoi capelli significava immaginarsi che tutto un inverno non contenesse abbastanza buio da farne l'ombra: le incorniciavano la fronte come il calar della notte spegne lo splendore d'occidente. (...)
Aveva occhi pagani, pieni di misteri notturni, e la loro luce nel suo continuo andirivieni era parzialmente intralciata da palpebre e ciglia opprimenti; e la palpebra inferiore ne era molto più piena di quanto non lo sia in genere nelle donne inglesi. Ciò le consentiva di indulgere in fantasticherie senza darlo a vedere; si sarebbe detto che era in grado di dormire senza doverle chiudere. Supponendo che le anime degli uomini e delle donne siano essenze visibili, ci si potrebbe figurare il colore dell'anima di Eustacia come quello di una fiamma. Le scintille che da essa risalivano fino alle sue iridi scure confermavano questa impressione.”

Catherine Zeta-Jones nel ruolo di Eustacia Vye (1994)
Con le sue origini elleniche, la bellezza esotica, e il temperamento indomito, Eustacia si presenta a prima vista come il tipico modello dell'eroina romantica, l'incarnazione perfetta della tragedia greca a cui Hardy, nell'ideare il suo romanzo, attinge a piene mani.
In realtà, a dispetto delle apparenze, in lei vi è ben poco di soprannaturale: dietro la sua ostentata indolenza, oltre la presunta indifferenza ai turbamenti della gente comune, si cela infatti un animo inquieto e tormentato, perennemente combattuto tra impulsi contrastanti e aneliti insoddisfatti.
Cresciuta senza il sostegno di una vera famiglia, guardata con diffidenza dai compaesani per via delle sue abitudini eccentriche, e risolutamente ostile alla realtà che la circonda, Eustacia vive giorno per giorno immersa nella propria solitudine interiore, rifiutando le convenzioni del luogo, e facendo inconsapevolmente sue le ombre della brughiera: quel medesimo ambiente da cui ella si ritrae con ostinazione, e col quale, al contempo, mostra una sinistra affinità.
Il confronto con la Catherine Earnshaw di Cime tempestose nasce quasi spontaneamente, ma se in quest'ultima la sofferenza aveva il volto di sentimenti di natura trascendente, a corrodere l'animo di Eustacia sono invece aspirazioni e desideri completamente terreni: un futuro lontano dalla monotonia di Egdon e dalla grettezza della sua gente, una casa confortevole in un elegante boulevard di Parigi, e i divertimenti spensierati della vita mondana; ma prima di ogni altra cosa:

“Essere amata alla follia, questo era il suo grande desiderio. L'amore era per lei l'unico cordiale in grado di spazzar via la divorante solitudine delle sue giornate. Ma più di un particolare innamorato, sembrava anelare all'idea astratta di un amore appassionato.”

E l'opportunità di realizzare tali ambizioni, la nostra eroina la troverà inaspettatamente nel ritorno al paese di Clym Yeobright - il "nativo" cui allude il titolo originale del romanzo - un giovane sognatore ed idealista che, stanco delle effimere gioie della vita parigina, sceglie di ritirarsi nell'amata terra natale dove condurre un'esistenza frugale al servizio del prossimo. Ingenuo e particolarmente sensibile al fascino femminile, come un po' tutti gli eroi maschili concepiti da Hardy, anche il povero Clym incorrerà nel tipico errore dei suoi predecessori: quello di lasciarsi accecare dalla passione e di idealizzare fatalmente la donna amata.

Catherine Zeta-Jones e Ray Stevenson (Clym Yeobright) 
È difficile, dall'esterno, decifrare la personalità di Eustacia, e probabilmente, una volta conosciutala, è ancor più difficile riuscire ad amarla: ambiziosa, volubile e sprezzante nei confronti della gente, ella dà più volte prova di un'indole egoista e capricciosa, soggetta alle passioni, ma incapace di un amore profondo e disinteressato. Tuttavia, vale la pena di ricordarlo, non sono i suoi difetti - ignorati dai più - a renderla invisa ai compaesani, né tantomeno gli astratti desideri che la animano; la vera colpa di Eustacia, ciò che realmente le vale l'animosità della società di Egdon, trasformandola nel bersaglio della superstizione popolare, ed esponendola ad insinuazioni d'ogni sorta, è qualcos'altro: quell'unico irrimediabile peccato che la società vittoriana non potrà mai perdonare ad una donna: il fatto di avere un passato.
È alla luce di ciò, che ogni sua azione, anche la più irreprensibile, assume una connotazione sospetta, e che la sua condotta, ancorché oggettivamente inoffensiva, viene condananta senza appello perfino da chi non la conosce direttamente. E del resto, come osserva, pratica, la signora Yeobright:

“Nemmeno ad Egdon le brave ragazze vengono prese per streghe.”

Ciò nonostante, per quanto grandi siano le sue mancanze, man mano che si ci addentra nell'interiorità di Eustacia, è impossibile non apprezzarne i pregi: l'onestà verso se stessa, l'amor proprio, l'innato orgoglio che le impedisce di scendere a compromessi, e quell'immaginazione fervida e appassionata che rappresenta insieme la sua forza e la sua rovina.
Del resto, uno dei principali meriti di Hardy è proprio questo: la capacità di accompagnare il lettore tra i più impenetrabili recessi dell'animo dei personaggi, così da permettergli di comprenderne a fondo motivazioni e stati d'animo e, sia pur senza giustificarli necessariamente, di simpatizzare con loro al di là delle proprie convinzioni e degli eventuali pregiudizi.
Non deve sorprendere, pertanto, che degli esempi d'ineccepibile virtù quali Clym e sua cugina Thomasin appaiano sostanzialmente come figure sbiadite, e che al contrario, a colpire maggiormente chi legge siano quei personaggi che, sia pur senza incarnare ideali di perfezione, si distinguono per la semplice e autentica umanità: come il piccolo Charley, toccante nella sua incondizionata lealtà e nell'affetto per Eustacia, o lo stesso Wildeve, moralmente discutibile ma paradossalmente ammirevole per la sincera devozione verso la donna che, malgrado tutto, continua ad amare.
Una menzione a parte merita infine il "rosso" - ed onnipresente - venditore d'ocra Diggory Venn, irriducibile paladino della giustizia (al punto tale da trovarsi, più di una volta, sull'orlo di comportamenti quantomeno delittuosi) ed emblema di dedizione, che strizzando l'occhio alla superstizione popolare cui la sua figura è legata, funge da contraltare ad Eustacia, e riveste con fin troppo zelo il ruolo di angelo custode e di deus ex machina della storia.

Thomas Hardy
Perfettamente equilibrato nell'impianto narrativo e, malgrado l'aura mitologica che lo pervade, sorprendentemente moderno nei contenuti,  The Return of the Native presenta sostanzialmente un'unica nota stonata: l'epilogo. Un epilogo forzatamente edulcorato e poco coerente col tono generale della narrazione, che Hardy, sacrificando la sua miglior vena tragica - nonché lo stesso finale pensato in origine - fu costretto ad adottare per esigenze editoriali, nel discutibile tentativo di concedere, almeno ad alcuni personaggi, il tradizionale lieto fine.
Una scelta che, tuttavia, assume un rilievo marginale, perché al termine della lettura, a occupare il nostro immaginario è ancora il destino della povera Eustacia: creatura troppo libera e inadatta alla meschinità di questo mondo, o piuttosto vana interprete di quella - ahimè - attualissima ideologia che confonde la passione effimera con l'amore, e giudica impossibile - nonché poco auspicabile - l'esistenza di un sentimento destinato a crescere e durare in eterno?
Insomma, vittima sfortunata di un destino avverso, o - per dirla con Dickens - soltanto degli impulsi del proprio cuore indisciplinato”

Le domande e i dubbi rimangono per lo più senza apparente risposta, ma questo a Hardy poco importa: a lui interessa soltanto narrarci un dramma che, al di là di tutte le implicazioni letterarie, altro non è che l'eterna tragedia dell'essere umano: una tragedia reale ed antica come il mondo, che anche oggi, a centoquarant'anni di distanza, riesce ancora a turbarci, perché, come tutte le storie incentrate sulle pene e le debolezze della natura umana, purtroppo, non ha mai perduto la sua attualità. 



La brughiera di Winifrith Heath (Dorset) modello originale per la brughiera di Egdon descritta nel romanzo




Un po' di Storia: La Congiura delle polveri

Nota in Inghilterra col nome di Gunpowder Plot o di Jesuit Treason, l'espressione Congiura delle polveri si riferisce al complotto ordito nel 1605 ai danni del re Giacomo I, da un gruppo di cattolici inglesi, capitanato da Robert Catesby e costituito, tra gli altri, da Thomas Percy e Guy Fawkes, quest'ultimo divenuto l'emblema stesso della congiura.
Unico figlio di Maria Stuarda e del suo secondo marito Henry Darnley, Giacomo I, salito al trono d'Inghilterra dopo la morte dell'eterna rivale di sua madre, la regina Elisabetta I, nei primi tempi del suo regno aveva alimentato le speranze dei cattolici del Paese, all'epoca perseguitati a causa della loro religione, lasciando trapelare l'intenzione di garantir loro la tanto agognata libertà di culto. Nonostante l'iniziale apertura, tuttavia, le promesse del sovrano non si concretizzarono mai, risolvendosi al contrario, in seguito ad una serie di disgraziati eventi, in una rinnovata ostilità nei confronti dei fedeli della Chiesa di Roma.
Fu in questo contesto che i sopracitati cospiratori, desiderosi di instaurare una monarchia di stampo cattolico, decisero di organizzare un attentato per far saltare in aria la Camera dei Lord, ed uccidere così, tra gli altri, il Re e il suo governo, durante la cerimonia di apertura del Parlamento inglese, fissata per il 5 novembre di quell'anno.
I piani, però, non andarono come previsto: grazie ad una lettera anonima, il Re venne a sapere della congiura, e durante una perquisizione nei sotterranei del palazzo di Westminster, intorno alla mezzanotte del 4 novembre, furono rinvenuti numerosi barili di polvere da sparo, mentre un uomo che si aggirava da quelle parti, Guy Fawkes, venne arrestato, torturato, e successivamente giustiziato insieme agli altri cospiratori.
La cattura di Guy Fawkes
Da allora, nella settimana intorno al 5 novembre - ricorrenza nota come Bonfire Night, o Guy Fawkes Day - è consuetudine organizzare degli spettacoli pirotecnici per commemorare l'evento. In passato, invece, i bambini erano soliti accendere dei falò e dare fuoco, in quell'occasione, ad un fantoccio vestito di stracci che rappresentava appunto Guy Fawkes.
Ancora oggi, inoltre, prima che la Regina apra ufficialmente il Parlamento nel corso dell'annuale cerimonia dello State Opening of Parliament, è tradizione che dieci guardie del corpo ispezionino simbolicamente i sotterranei del palazzo di Westminster - dove attualmente si trovano le condutture dell'impianto di riscaldamento del Palazzo - in ricordo della fallita Congiura delle polveri.



Dalla pagina allo schermo: “The Return of the Native”

Più volte adattato a teatro, ma incomprensibilmente ignorato dal cinema, The Return of the Native gode di un'unica trasposizone sugli schermi televisivi, realizzata per la tv britannica nel 1994 e co-prodotta da BBC e Hallmark.
Interamente girato tra la brughiera del Parco Nazionale dell'Exmoor, nel Devon, il film fu diretto dal londinese Jack Gold e potè contare su un cast di prim'ordine che annoverava, tra gli altri, Joan Plowright nel ruolo della signora Yeobright, Clive Owen in quello di Damon Wildeve, e Ray Stevenson nei panni di Clym.
Ad impersonare Eustacia, invece, era una giovane attrice gallese all'epoca semi-sconosciuta, alle prese col suo primo ruolo da protagonista: Catherine Zeta-Jones.


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