Louis Bromfield : Autunno

Q uando lo sguardo si posa per la prima volta sulla copertina di Autunno , dello scrittore americano Louis Bromfield , a catturare l'attenzione non sono né il titolo - di per sé piuttosto banale - né il nome dell'autore - ai più pressoché sconosciuto - bensì la graziosa illustrazione realizzata in origine da Pierre Brissaud per la rivista parigina La Gazette du Bon Ton , in cui sono ritratte alla perfezione tutte le sfumature della stagione autunnale: i caldi colori della natura che muta aspetto, il soffio sottile e persistente dei primi venti settembrini, e il palpabile velo di malinconia che pervade il periodo dell'anno in cui cadono le foglie, quasi a suggerire un'analogia - implicita eppure percettibilissima - con la vita che scorre inesorabile verso l'epoca della maturità , tra i rimpianti per un'esistenza ormai trascorsa e l'impossibilità di recuperare il tempo perso. D'altro canto è proprio così che andrebbe interpretato quell' Autunno -

Henry James: L'americano.
La bellezza della grande Letteratura dimenticata.

Al giorno d'oggi c'è una tendenza particolarmente in voga in ambito letterario, che, lo ammetto, mi lascia sempre piuttosto perplessa: è la sorprendente leggerezza con cui si fa uso del termine "capolavoro". Autori alla moda, libri sostanzialmente mediocri, contenuti discutibili... Tutto viene inglobato con facilità nella categoria della "grande letteratura", spesso senza possedere alcun merito.
Poi capita tra le mani un romanzo come The American, semi-sconosciuto ai lettori italiani, ed anche in linea generale, tra i lavori meno noti di Henry James, e istantaneamente si ha l'esatta percezione di cosa sia davvero la Letteratura con la L maiuscola.


Christopher Newman, trentaseienne americano di successo, dopo una vita trascorsa negli affari, decide di prendersi una meritata vacanza e recarsi per la prima volta in Europa, per godere dei piaceri della vita e, possibilmente, trovare la donna perfetta con cui mettere su famiglia.
Un po'spaesato di fronte alle abitudini d'oltreoceano, ma ansioso di ampliare i propri orizzonti culturali, Newman giunge a Parigi, e qui, grazie ad un'amica premurosa e un po'impicciona, la signora Tristram, fa la conoscenza della giovane Claire de Cintré, appartenente alla nobile e rispettabilissima famiglia Bellegarde.
La descrizione di quest'ultima, affidata alle parole della stessa Mrs Tristram, resta una delle più significative descrizioni letterarie di un volto femminile in cui mi sia imbattuta:

“Non è una bellezza, ma è bellissima: due cose assai diverse. Una bellezza non ha difetti sul volto; il volto di una donna bellissima può avere dei difetti che non fanno che rendere più profondo il suo fascino.”

Data in sposa ad un anziano conte a soli diciott'anni, Claire, ora vedova, rifugge dall'idea di un nuovo matrimonio, ma col tempo, malgrado gli iniziali propositi, finisce col lasciarsi conquistare dall'affascinante americano.
Proprio quando la tanto agognata felicità sembra essere ormai a portata di mano, ecco che le differenze sociali e le perverse dinamiche interne dell'antica nobiltà europea, presenteranno inevitabilmente il conto.


Quando si è in presenza di un grande autore, non occorre che la storia raccontata sia sensazionale, né che il soggetto principale sia particolarmente originale: le cose più comuni, affidate alla penna giusta, acquisiscono di per sè il carattere della straordinarietà. Ed Henry James grande lo è davvero!
In questo suo secondo romanzo, egli mostra di possedere tutte le qualità necessarie ad uno scrittore di prim'ordine: stile elegante, impeccabile tecnica narrativa, sorprendente abilità d'introspezione, ma soprattutto l'innata capacità di raccontare una storia semplice in modo affascinante, delineando caratteri e situazioni senza mai indugiare su elementi superflui o di scarso interesse per il lettore.

Privo della lentezza e della lieve prolissità che contraddistinguono invece il più celebre, e pur bello, Ritratto di signora, L'americano si rivela una lettura compatta, fluida e godibilissima, dove la vita interiore dei protagonisti e l'esposizione dell'intreccio, arricchite dall'ironia raffinata e mai banale dello scrittore, si fondono in un romanzo avvincente e perfettamente equilibrato in ogni sua parte.
È incantevole immergersi tra le pagine di questo bel libro; è un po' come camminare per strada, scorgere dei volti e carpirne espressioni, atteggiamenti, e peculiarità: dettagli attraverso cui provare a indovinare la personalità di ciascuno... per poi comprendere, inaspettatamente, che dietro ogni figura si celano caratteri, emozioni, pensieri, realtà uniche nel loro genere, ben più profonde e variegate di quanto si era immaginato a prima vista, poiché tale è la natura umana.
Non ci sono figure stereotipate nell'opera di James: ciascuno, anche il personaggio meno rilevante, possiede luci, ombre, difetti e virtù, ed è per questa ragione che, col susseguirsi delle pagine, la sensazione è quella di avere a che fare innanzitutto con persone in carne ed ossa, a cui affezionarsi, o verso cui provare antipatia.
Christopher Newman, il protagonista, incarna alla perfezione tutto ciò.
Egli, come suggerisce il suo stesso nome, è l'uomo nuovo, che si è fatto da sè; colui che, moralmente integro e fiducioso nelle proprie capacità, non ha più niente da dimostrare, ed ancora giovane ed invidiabilmente benestante, può permettersi di prendere il meglio dalla vita e lasciare tutto il resto.

“Bisogna ammettere, senza mezzi termini, che l'unica ambizione della vita di Christopher Newman era stata di fare del denaro: lo scopo per cui era stato messo al mondo era, secondo il suo modo di vedere, semplicemente quello di strappare una fortuna, quanto più grande tanto meglio, a una provocante opportunità. Quest'idea riempiva completamente il suo orizzonte e appagava la sua fantasia. Su come impiegare il denaro, su ciò che avrebbe potuto fare di una vita nella quale fosse riuscito a far confluire il fiume dorato, egli fino al suo trentacinquesimo anno aveva scarsamente riflettuto. La vita era stata per lui un gioco aperto, ed egli aveva puntato su una posta molto alta. Aveva vinto , infine, ed intascato quanto gli spettava: ed ora, che doveva farne?” 

La vicenda di Newman, affascinato dalla cultura europea, ma profondamente legato alle proprie radici, sintetizza perfettamente il rapporto di amore-odio che lo stesso James nutrì per il Vecchio continente, e che in questo romanzo viene espresso con particolare zelo.
Da un lato troviamo quindi le abitudini liberali degli Stati Uniti, con il culto del lavoro e il mito del self-made-man, impersonate dal protagonista; dall'altro, la famiglia Bellegarde, a rappresentare le inveterate tradizioni di un'Europa fondata sui valori obsoleti del lignaggio e della nobiltà di sangue: princìpi questi, tanto incomprensibili per uno straniero, quanto naturali e invalicabili per chi quella mentalità la sente scorrere nelle proprie vene.

Henry James

Così, nella cornice suggestiva e un po'malinconica di Parigi, con i suoi viali, le storiche sale del Louvre, e le inconfondibili atmosfere splendidamente rievocate, James non si limita a narrarci una storia d'amore ostacolata dalle differenze di classe e cultura, ma ci illustra piuttosto l'incipiente rovina di un'aristocrazia europea in declino, al cui stesso interno iniziano a farsi strada i primi germi dell'insofferenza e della ribellione: disperati aneliti ad una vita diversa e finalmente libera, puntualmente destinati a soccombere di fronte all'ineluttabilità delle ferree leggi sociali.
Nei romanzi di James, però, non è mai il destino a decretare la disfatta dei protagonisti: saranno piuttosto la fragilità, la sconsideratezza, o l'incapacità di prendere in mano la propria vita, a determinare di volta in volta la sconfitta di coloro che, come l'impulsivo Valentin - uno dei personaggi più interessanti e riusciti - o l'annoiata giovane marchesa, cercheranno debolmente di sottrarsi alle maglie soffocanti di un potere troppo grande e crudele. Qualcuno ne morirà; qualcun altro si vedrà costretto a reprimere la propria personalità; ma vi sarà anche chi, e sarà forse il caso peggiore, rinuncerà completamente alla vita celandosi dietro a un velo, e seppellendo la propria esistenza entro le mura di un convento, quasi a voler suggerire drammaticamente, come il conflitto tra Vecchio e Nuovo mondo si traduca anche nel contrasto tra la spoglia ed essenziale religiosità protestante, e la fastosa esteriorità del culto cattolico.

“D'improvviso, dal fondo della cappella, da dietro l'inesorabile grata, si levò un suono che distolse la sua attenzione dall'altare: il suono di uno strano, lugubre canto che giungeva da voci femminili. Incominciò in tono sommesso, ma subito si fece più alto e, mentre cresceva, rassomigliava sempre più a una lamentazione o a una nenia funebre. Era il canto delle monache carmelitane, la loro sola forma d'espressione umana. Era il loro lamento funebre sugli affetti sepolti e sulla vanità dei desideri terreni.”

L'americano è una lettura particolare, perché, proprio come accade coi suoi protagonisti, risulta inizialmente difficile coglierne l'essenza: inizia come un elegante novel of manners, ed assume via via i tratti del romanzo psicologico, scivolando poi fin quasi nel thriller.
Essa risulta la più cinematografica tra le opere di James, con ambientazioni meticolosamente ricostruite, dialoghi incisivi e brillanti, e deliziosi momenti all'insegna dello humour più lieve, grazie soprattutto alla presenza sulla scena dei male assortiti coniugi Tristram, dell'anziano Monsieur Nioche, e specialmente di sua figlia Noémie: una versione parigina dell'indimenticabile Becky Sharp di Vanity Fair, nonché il perfetto emblema della corruzione e dell'immoralità del Vecchio continente.

“Era abbastanza carina, certo, per rendere suo padre nervoso; ma, per ciò che riguardava la sua innocenza, Newman si sentì pronto ad affermare così su due piedi che non se n'era mai separata. Semplicemente, non ne aveva mai avuta una: aveva guardato il mondo in faccia dall'età di dieci anni, e sarebbe stato un uomo molto saggio colui che fosse in grado di rivelarle qualche segreto.”

Nel romanzo, tuttavia, anche le parti più ironiche, appaiono sempre venate da una sottile ma percettibile amarezza: un'amarezza che non ha niente a che fare con la tragedia, ma che è invece propria della vita reale, e che si riflette alla perfezione nell'epilogo: ritratto mesto e fedele di quella realtà dove tante, troppe volte, a vincere sono l'astuzia, il potere, e gli incrollabili dettami della società.
E se, materialmente, dalla lotta tra vecchio e nuovo mondo, quest'ultimo ne uscirà schiacciato, è palese che, moralmente, spetti ad esso l'incontestabile vittoria.

Così mentre il romanzo si chiude, agli eroi della storia resta il conforto di aver agito onorevolmente, e l'intima consapevolezza della propria superiorità morale.
Forse un po'poco? Dipende dai punti di vista... Perché, del resto, come in ogni opera jamesiana che si rispetti, non c'è spazio per le risposte definitive, né per i giudizi assoluti: quelli, come sempre, spettano soltanto a noi, secondo la nostra coscienza e i segni più o meno profondi delle esperienze vissute.

*Un piccolo appunto sulla traduzione: forse sarebbe stato opportuno suggerire a chi di dovere, che il termine ricorrente self-control è perfettamente traducibile nella nostra lingua con autocontrollo: la terminologia inglese, infatti, stona un po'con l'altrimenti eccellente traduzione italiana.

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