Louis Bromfield : Autunno

Q
uando lo sguardo si posa per la prima volta sulla copertina di Autunno, dello scrittore americano Louis Bromfield, a catturare l'attenzione non sono né il titolo - di per sé piuttosto banale - né il nome dell'autore - ai più pressoché sconosciuto - bensì la graziosa illustrazione realizzata in origine da Pierre Brissaud per la rivista parigina La Gazette du Bon Ton, in cui sono ritratte alla perfezione tutte le sfumature della stagione autunnale: i caldi colori della natura che muta aspetto, il soffio sottile e persistente dei primi venti settembrini, e il palpabile velo di malinconia che pervade il periodo dell'anno in cui cadono le foglie, quasi a suggerire un'analogia - implicita eppure percettibilissima - con la vita che scorre inesorabile verso l'epoca della maturità, tra i rimpianti per un'esistenza ormai trascorsa e l'impossibilità di recuperare il tempo perso.
D'altro canto è proprio così che andrebbe interpretato quell' Autunno - Early autumn, nella versione originale - come una sorta di allegoria della giovinezza che sfiorisce poco a poco, lasciando dietro sé la consapevolezza di quanto la completa libertà di autodeterminarsi sia, in fin dei conti, soltanto una delle fragili eterne illusioni dell'essere umano.



Lo sa bene Olivia Pentland, moglie del rampollo di un'antica dinastia di Durham, nel Massachussetts, e donna di notevoli qualità, che a un passo dai quarant'anni - soglia che varcherà, non a caso, al sopraggiungere dell'autunno - possiede ancora intatte tutte le attrattive della gioventù, oltre ad un carattere e a delle maniere che conquistano facilmente l'ammirazione e il rispetto della gente.
Purtroppo, dietro quella facciata d'invidiabile perfezione si nasconde una realtà che ben pochi immaginano, e che molti probabilmente faticherebbero a comprendere: la realtà di un'esistenza che non conosce gioie né piaceri, spesa al capezzale di un figlio sempre in bilico tra la vita e la morte, costantemente esaminata dallo sguardo vigile e implacabile della zia Cassie, un'invadente perbenista smaniosa di intromettersi nelle vite altrui per assumerne il controllo.

“Vi erano momenti in cui i ricordi della giovinezza si affollavano alla mente di Olivia, cancellando ogni legame col presente: momenti in cui desiderava con tutto il cuore tornare indietro agli anni lontani che allora le erano sembrati infelici. E ciò accadeva quando si sentiva molto solitaria, rendendosi conto di come, ogni anno che passava, si rinchiudesse più in se stessa, per un processo di protezione, come fa la tartaruga quando nasconde la testa.
E allora sentiva, nonostante i sorrisi, la cortesia e l'amabilità, di essere veramente estranea a Pentland; sentiva che vi erano muri e barriere che non avrebbe mai potuto sormontare, fedi alle quali non avrebbe mai potuto credere.”

Entro i confini di quell'inespugnabile regno dominato dall'ipocrisia e dalle formalità, non c'è un solo amico a cui Olivia possa confidare le sue pene, nessuno che ne condivida i timori e le speranze, eccetto forse il suocero John, anziano patriarca dagli incrollabili principi, gravato dal fardello di una moglie alienata, da decenni ritiratasi a vivere nell'oscurità; un uomo la cui rettitudine - contrariamente al resto della famiglia - nasce non dall'esigenza di tutelare le apparenze, ma dalla profonda fede nel valore stesso della rettitudine.

La rigida monotonia di Pentland Manor è però destinata ad infrangersi in un giorno d'estate, quando Sybil, figlia diciottenne di Olivia, fa ritorno a casa al termine di un lungo soggiorno di studio in Francia, dov'era stata mandata dalla madre, nella speranza di proteggerla dalla falsità e dalla grettezza di Durham. Assieme a lei, con grande disappunto della famiglia, arrivano anche la stramba Thérèse Callender, compagna di scuola amante della scienza, sempre a caccia di animaletti da studiare, e sua madre Sabine, pecora nera della dinastia dei Pentland, cresciuta accanto a zia Cassie ed ora tornata, nei panni della spregiudicata donna di mondo, per prendersi la rivincita su colei che, rea di averle impartito un'educazione arida e bigotta, ella ritiene responsabile del fallimento del proprio matrimonio.
Sarà appunto la presenza dell'indipendente e ribelle Sabine, a spingere Olivia a rimettere tutto in discussione, specialmente dopo l'incontro con Michael O'Hara, affascinante irlandese dalle velleità politiche, stabilitosi da poco nel vicinato, e deciso - con orrore dei benpensanti - a riscattare le proprie umili origini e conquistarsi un posto di tutto rispetto tra la buona società del New England.

Louis Bromfield (1896-1956)
Vincitore nel 1927 di un Premio Pulitzer, ed imperniato su alcuni dei grandi temi della letteratura americana del primo Novecento - il conflitto tra senso del dovere e aspirazioni personali, l'opposizione tra vecchio e nuovo mondo, e quella tra antica aristocrazia e nouveaux riches - il romanzo ci consegna l'ennesimo ritratto di una società schiava delle proprie debolezze, ossessionata dal culto delle convenzioni, e vittima di quei desideri repressi che logoreranno la vita di molti, soprattutto di coloro che, combattuti tra forze costrastanti, intraprenderanno una silenziosa lotta interiore, alla ricerca di una libertà che, in verità, nessuno riuscirà a conquistare: non il vecchio John Pentland, condannato all'infelicità dal suo stesso senso morale; non la romantica Sybil, il cui atto di ribellione non può essere letto come un'espressione d'indipendenza, ma soltanto come la scelta obbligata per sfuggire a un destino prestabilito; né tantomeno Sabine, che pur ostentando un anticonformismo di facciata, finirà col rivelarsi la più degna erede di quella società che - come lei stessa nota - non crede in niente ma si accontenta di fingere: un curioso paradosso per una donna che ha fatto della ricerca della verità il proprio baluardo, e che mossa dal desiderio di annientare un sistema che disprezza, si troverà avviluppata tra le maglie di quel medesimo meccanismo.

Autunno si presenta, in breve, come un classico prodotto del suo tempo: un romanzo raffinato, stilisticamente inappuntabile, ma sostanzialmente privo di originalità, il cui debito nei confronti di Henry James ed Edith Wharton (l'affinità con quest'ultima è curiosamente rimarcata dallo stesso scrittore in un passo del testo) diviene a tratti la nota dominante, mentre le allettanti premesse dei capitoli iniziali sfumano via via nell'attesa di un'azione che pare destinata a non concretizzarsi mai, e nell'eterno riproporsi di riflessioni e dilemmi morali per i quali pare non esserci via d'uscita.
Sarebbe tuttavia ingeneroso farne una colpa a Louis Bromfield, poiché la staticità della trama e la lentezza del ritmo narrativo non fanno che ricalcare efficacemente le dinamiche claustrofobiche di Pentland Manor e dell'universo che rappresenta: sterile, autoreferenziale, e destinato, presto o tardi, a implodere su se stesso, sotto lo sguardo indignato di uomini come Anson - l'arido ed indifferente marito di Olivia - che di fronte alle rimostranze della moglie ormai esasperata, si limita a rispondere con incredulità:

“Qualcuno deve pur costituire un modello per la comunità. Non c'è mai stato uno scandalo né un divorzio nella famiglia Pentland... mai.
La nostra famiglia è stata per trecento anni un modello di virtù, e non si può rovinarne il credito tutto d'un colpo, per un capriccio... Siamo in una posizione per cui ogni nostra azione è osservata e giudicata. È possibile che tu non possa renderti conto della grande responsabilità che abbiamo?”

Peccato che, malgrado la prosa scorrevole e l'innegabile piacevolezza della lettura, la vicenda raccontata non sia riuscita a coinvolgermi come avrei sperato.
Infatti, un po' come la fredda Thérèse esaminava rane ed insetti per trarne informazioni utili, così da lettrice, ho osservato i protagonisti del romanzo: senza autentica partecipazione, senza provare vera empatia, ma principalmente per il puro diletto di scrutarne i comportamenti e scoprire infine che ne sarebbe stato di loro.
Soltanto Olivia, grazie anche ad un'accurata analisi psicologica, emerge tra le tante figure incolori del romanzo, distinguendosi per lo spessore interiore ed il profilo umano, eppure, anche nel suo caso, ho trovato difficile affezionarmi al personaggio: a destare interesse è stata innanzitutto l'affinità con altre celebri protagoniste della letteratura mondiale, e la prospettiva di un epilogo che a un primo sguardo parrebbe già scritto.
Ma se in un romanzo di Tolstoj, con gli stessi presupposti, la sventurata protagonista avrebbe probabilmente colto la prima occasione utile per balzare sotto a un treno in corsa e farla finita col mondo, nella storia di Bromfield una svolta inattesa non può essere esclusa a priori.
Vedremo però che, a determinare la scelta finale di Olivia non saranno la paura, il rispetto del decoro, o il timore delle maldicenze, né l'obbligo morale verso chi non c'è più: bensì la piena accettazione delle proprie responsabilità, la presa di coscienza che la felicità e il benessere interiore non potranno mai essere davvero raggiunti se non nel rispetto di ciò che si è: perché nessun essere umano che viva in una società e che voglia continuare a farne parte potrà mai prescindere interamente dal ruolo che in essa è chiamato a ricoprire.
Un principio, questo, che riecheggia inesorabile nelle parole rivolte ad Olivia dal suocero:

“È tutto quello che hanno, gli altri... questa fede nel passato. E non dobbiamo distruggerla. I forti non devono incattivirsi coi deboli. Sarebbe per loro un colpo terribile... Vedi, Olivia, vi sono al mondo persone, come te, che devono essere forti anche per gli altri. È un compito difficile e a volte crudele. Se non ci fossero queste persone, il mondo diverrebbe un posto mostruoso, insopportabile.”
Ed è per questo che, al di là di come la si pensi, è difficile dargli torto quando, con la sua pacata sicurezza, afferma che:
“Ci sono delle azioni che noi non potremo mai commettere, Olivia... Sono impossibili perché rovinerebbero la nostra vita... Non potremmo compierle con leggerezza […] 
Ci sono cose che persone come noi non faranno mai, Olivia cara.”

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