Louis Bromfield : Autunno

Q uando lo sguardo si posa per la prima volta sulla copertina di Autunno , dello scrittore americano Louis Bromfield , a catturare l'attenzione non sono né il titolo - di per sé piuttosto banale - né il nome dell'autore - ai più pressoché sconosciuto - bensì la graziosa illustrazione realizzata in origine da Pierre Brissaud per la rivista parigina La Gazette du Bon Ton , in cui sono ritratte alla perfezione tutte le sfumature della stagione autunnale: i caldi colori della natura che muta aspetto, il soffio sottile e persistente dei primi venti settembrini, e il palpabile velo di malinconia che pervade il periodo dell'anno in cui cadono le foglie, quasi a suggerire un'analogia - implicita eppure percettibilissima - con la vita che scorre inesorabile verso l'epoca della maturità , tra i rimpianti per un'esistenza ormai trascorsa e l'impossibilità di recuperare il tempo perso. D'altro canto è proprio così che andrebbe interpretato quell' Autunno -

Herbert G. Jenkins: Patricia Brent, zitella.

Che sia sul grande schermo, o tra le pagine di un libro, poche cose riescono a sorprendermi in positivo quanto una commedia realmente ben fatta: perché, nonostante le apparenze, quello dell'intrattenimento disimpegnato è un terreno assai scivoloso, e accade spesso che chi vi si dedica inciampi nella banalità, nel luogo comune o, peggio ancora, nel cattivo gusto.
Se tuttavia è vero che far sorridere con garbo e intelligenza è generalmente prerogativa di pochi eletti (e al giorno d'oggi sarebbe più corretto dire di pochissimi!), è altrettanto vero che tra i principali depositari di quest'arte vi sono gli inglesi, da sempre maestri di arguzia, stile, e di quella dote preziosissima e non comune meglio nota come autoironia.

Pubblicato nel 1918 e solo di recente tradotto in italiano grazie ad Elliot Edizioni, Patricia Brent, zitella, simpatica commedia degli equivoci dal taglio cinematografico, ne è uno dei più chiari esempi.
La protagonista - Patricia, appunto - è una ventiquattrenne brillante, colta, seria, e non priva di attrattive fisiche: una ragazza, insomma, con tutte le carte in regola per avere successo. Nel 1917, però, in un'Inghilterra ancora intrisa di morale tradizionale, e minacciata dallo spettro dei dirigibili che solcano i cieli, le opportunità per una donna sono davvero poche, soprattutto nel caso in cui si tratti di un'orfana, sprovvista di mezzi, e - cosa ancor più grave - zitella.
Peccato che Patricia, educata secondo il principio

“Gli uomini sono tutti bestie”

da una zia bigotta e incapace di slanci affettivi, di amori e matrimoni non ne voglia proprio sapere; e così, nonostante la giovane età, conduce un'esistenza austera e solitaria, sgobbando da mattina a sera come segretaria di un politico inetto, e trascorrendo il tempo libero nell'ambiente soffocante della pensione in cui alloggia da quando, tre anni prima, ha lasciato la provincia per guadagnarsi da vivere a Londra.
Una sera, ascoltando per caso una conversazione tra due anziane coinquiline, Patricia si accorge di essere l'oggetto della loro commiserazione, e colta da un improvviso scatto d'orgoglio tipico della sua natura impulsiva, annuncia con finta disinvoltura che il giorno seguente cenerà fuori col fidanzato. Lo stupore dei pensionanti è grande, ma la frettolosa bugia si risolverebbe senza ulteriori conseguenze, se la sera dopo, messa alle strette dalla "fortuita" presenza in ristorante delle due discrete signore, la ragazza non fosse costretta a chiedere a un giovane militare seduto a un tavolo, di recitare la parte dell'innamorato.
Talvolta, però, la realtà può superare la finzione, e così quando il falso pretendente - che, per inciso, è in verità un facoltoso lord - immedesimatosi fin troppo bene nel ruolo, si ostinerà a proseguire la commedia, Patricia si troverà intrappolata in una serie di rocamboleschi fraintendimenti e mezze verità da cui liberarsi risulterà assai arduo... e forse, in fondo in fondo, neanche del tutto desiderabile.

Una soggetto originale e improbabile, una narrazione fluida e vivace, e la cornice rassicurante e tipicamente british di una rispettabile pensione londinese: tali sono gli ingredienti di cui Herbert Jenkins - scrittore eclettico e prolifico, ed editore noto soprattutto per aver pubblicato i libri di P.G. Wodehouse - si serve per confezionare questo godibilissimo romanzo che, proprio come un buon film della vecchia scuola, malgrado la non più verde età anagrafica, non perde un briciolo del suo smalto, e riesce ancora a soddisfare il gusto di quel pubblico che cerca lo svago e il romanticismo senza per questo voler incorrere nella trivialità o nella stucchevolezza.
Non ha bisogno di accenti chiassosi Jenkins: il suo è lo humour sottile e mai sopra le righe della tradizione britannica, quell'ironia cortese e a volte malinconica che si riflette nei tanti personaggi con cui, nel corso delle pagine, impariamo a familiarizzare, e che a fine lettura, come spesso accade, dispiace lasciarsi alle spalle.
Conosciamo così l'insopportabile zia Adelaide - "l'unica parente in vita" di Patricia, come lei stessa ama ricordarci - perennemente scandalizzata dalla lingua affilata della sua irriverente nipote; il simpatico signor Triggs, anziano vedovo dallo spiccato senso dell'umorismo, ancora profondamente legato al ricordo della moglie; la brillante Lady Tanagra, sorella (del sedicente fidanzato) e amica premurosa, nonché popolarissima socialite dalle inesauribili risorse...
Il ritratto più riuscito risulta però quello della monotona quotidianità degli ospiti della Galvin House, per i quali le vicissitudini amorose della nostra Patricia saranno destinate a rimanere

“L'unico incancellabile raggio di sole nel grigiore delle loro vite”.

È proprio all'umanissima e contraddittoria figura di Patricia - ben delineata tanto sul piano comportamentale quanto a livello psicologico - che l'autore affida la morale di fondo del suo romanzo: l'importanza di essere onesti con se stessi e di saper cogliere le occasioni che la vita offre, imparando, quando necessario, a mettere da parte l'orgoglio.

“Patricia faceva di tutto per mantenere una calma esteriore, che però contrastava coi sentimenti che l’agitavano. Si alzò e salì in camera sua per scoprire dal contenuto delle tre buste gialle a quale stadio della follia fosse arrivato il colonnello Bowen. Si sedette sul letto e aprì i telegrammi... Era stata una vera follia cacciarsi in una situazione così assurda. Era chiaro che Bowen non conosceva bene le donne, altrimenti non avrebbe commesso l’errore di ricordarle ciò che aveva combinato, a meno che… Patricia non osava formulare l'idea. E se si era fatto un’idea sbagliata di lei? Forse l’aveva confusa con una di quelle donne che… No, era impossibile!”

Spiritoso, romantico, e caratterizzato, a dispetto dell'imperante leggerezza, da una prosa elegante e mai noiosa, Patricia Brent, zitella poggia su una struttura semplice ma solida, che inizia a vacillare lievemente soltanto in prossimità dell'epilogo, vale a dire quando Jenkins, cedendo alla tentazione di compiacere facilmente il lettore, opta per degli espedienti fin troppo scontati e forse non all'altezza dei capitoli precedenti.
Un errore che, tuttavia, gli si può perdonare senza alcuno sforzo, perché, indipendentemente dalla via attraverso cui vi si giunga, il lieto fine in questo caso era d'obbligo, e se la verosimiglianza a volte latita... Che importa! Il bello della letteratura, in fondo, è anche questo.

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