Louis Bromfield : Autunno

Q uando lo sguardo si posa per la prima volta sulla copertina di Autunno , dello scrittore americano Louis Bromfield , a catturare l'attenzione non sono né il titolo - di per sé piuttosto banale - né il nome dell'autore - ai più pressoché sconosciuto - bensì la graziosa illustrazione realizzata in origine da Pierre Brissaud per la rivista parigina La Gazette du Bon Ton , in cui sono ritratte alla perfezione tutte le sfumature della stagione autunnale: i caldi colori della natura che muta aspetto, il soffio sottile e persistente dei primi venti settembrini, e il palpabile velo di malinconia che pervade il periodo dell'anno in cui cadono le foglie, quasi a suggerire un'analogia - implicita eppure percettibilissima - con la vita che scorre inesorabile verso l'epoca della maturità , tra i rimpianti per un'esistenza ormai trascorsa e l'impossibilità di recuperare il tempo perso. D'altro canto è proprio così che andrebbe interpretato quell' Autunno -

O. Henry: Il dono dei Re Magi

Ed anche quest'anno è di nuovo Natale. E come di consueto, accanto all'albero, al presepe, e ai doni, tornano anche tutte quelle piccole abitudini personali che ciascuno di noi mantiene vive negli anni e che, col passare del tempo, si sono trasformate in tradizioni irrinunciabili senza le quali non sembrerebbe neppure Natale.
Nel mio caso, ce n'è soprattutto una a cui mi dedico volentieri ogni dicembre, ed è la lettura di racconti natalizi. Personalmente, del Natale amo ogni sfumatura: dalla sua essenza più autentica e spirituale, che è la radice stessa del cristianesimo, alla componente più frivola, fatta di luci colorate, regali da scartare ed alberi scintillanti; fin da piccola, però, un aspetto del Natale mi ha sempre affascinato in modo speciale: quello umano. Già, perchè, come ho poi realizzato, con maggior consapevolezza, crescendo, le Feste - ancor più di ogni altra circostanza della nostra vita - riescono a portare alla luce con particolare trasparenza gli aspetti più veri del nostro essere: il modo in cui viviamo questo periodo, il nostro atteggiamento rispetto alle ritualità natalizie, e perfino lo spirito con cui ci apprestiamo ad acquistare o a ricevere i doni, rivelano tantissimo della nostra personalità e delle nostre esperienze, e più spesso di quanto non crediamo celano dietro di sè delle storie spesso assai semplici, ma che valgono decisamente la pena di essere raccontate.

Uno degli esempi migliori di ciò lo troviamo ne Il dono dei Re Magi, questo breve racconto natalizio scritto da O. Henry, a cui desidero dedicare l'ultimo post pre-natalizio del blog.
 “In ogni cosa vi sono delle storie. Ho tratto alcuni dei miei racconti migliori dalle panchine del parco, dai pali dei lampioni, e dai chioschi dei giornali.”
O. Henry
La (condivisibile) filosofia di O. Henry - al secolo William Sydney Porter - è contenuta tutta in queste parole; e del resto non potrebbe essere altrimenti, se consideriamo che questo prolifico autore, definito tra l'altro "la risposta americana a Guy de Maupassant", riuscì ad affermarsi, e a mantenere negli anni la propria popolarità, proprio grazie alla singolare capacità di immortalare nei suoi racconti tutta l'atmosfera e la realtà quotidiana dell'epoca in cui viveva. 
La storia di cui mi accingo a parlare, naturalmente, non fa eccezione.

Pubblicata per la prima volta nel dicembre del 1905, tra le pagine del The New York Sunday World, Il dono dei Re Magi è una breve novella natalizia che vede protagonisti Jim e Della Dillingham, una giovane coppia di sposi residenti in un modesto appartamento di New York.
Benché il loro sia un matrimonio molto felice, i due ragazzi hanno un cruccio: le ristrettezze economiche in cui si trovano, infatti, impediscono loro di potersi scambiare alcun dono di Natale. Perciò, il giorno della Vigilia, l'uno all'insaputa dell'altra, decidono di vendere i soli rispettivi beni materiali - un prezioso orologio tramandato di padre in figlio, nel caso di Jim; la sua folta e lucente chioma, in quello di Della - a cui sono entrambi legatissimi, ed acquistare così un regalo per il coniuge.
Non immaginano, però, la sorpresa che li attende.

Jeanne Crain (Della) in una scena del film (1952)
Nonostante lo si legga in appena una manciata di minuti, Il dono dei Re Magi è uno di quei racconti che non lasciano indifferenti.
Certo, è una storia senza una grande trama, che parla di sentimenti e persone comuni; tuttavia, pur nella sua semplicità - o per meglio dire, proprio grazie ad essa - rappresenta una bellissima opportunità per riflettere, non senza un pizzico d'ironia, sul significato del matrimonio e sul valore del dare.
Spogliarsi di ciò che si possiede di più prezioso per farne dono all'altro, costituisce, in fin dei conti, il senso più profondo e autentico dell'unione tra gli sposi, ed è appunto in quest'ottica che il regalo di Jim e Della, lungi dall'essere il mero pretesto per un racconto natalizio, diviene la più perfetta metafora dell'amore coniugale.
Scontato? Può darsi. Melenso? Probabilmente qualcuno potrebbe perfino considerarlo tale. Ogni tanto, però - e non solo a Natale! - fa bene fermarsi un istante a riflettere e ricordare anche quelle verità che siamo abituati a dare per scontate: quelle che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno e a cui siamo talmente avvezzi da non riuscire più ad accorgerci che, senza di esse, la vita non avrebbe lo stesso senso... ed anche il Natale, al di là dei doni e dello sfavillio seducente delle vetrine, perderebbe probabilmente la sua vera ragion d'essere, e il motivo stesso di essere festeggiato.




Dalla pagina allo schermo.
Nel 1952 un gruppo di cinque registi (Henry  Koster, Henry Hathaway, Jean Negulesco, Howard Hawks, Henry King) realizzò per la Twentieth Century Fox un grazioso film a episodi intitolato O. Henry's Full House - in italiano La giostra umana - basato, appunto, su altrettanti racconti di O. Henry.
Il capitolo conclusivo, diretto da King ed introdotto, tra l'altro, da un inedito John Steinbeck, era proprio una trasposizione de Il dono dei Re Magi.

A vestire i panni di Della e Jim erano Jeanne Crain e Farley Granger: la prima, candidata all'Oscar, solo pochi anni prima, come protagonista di Pinky, la negra bianca di Elia Kazan; il secondo, divenuto noto soprattutto grazie alle sue interpretazioni in  Nodo alla gola e L'altro uomo, entrambi diretti da Alfred Hitchcock.


 “I Re Magi, come sapete, erano uomini saggi, incredibilmente saggi, che portarono dei doni al Bambino nella mangiatoia. Sono stati loro a inventare l'arte di fare regali a Natale... E io qui vi ho raccontato, per quanto in modo goffo, l’ordinaria storia di due sciocche creature che, in modo tutt'altro che saggio, sacrificarono l'una per l'altra i più grandi tesori della loro casa. Ma lasciatemi rivolgere un'ultima osservazione ai saggi dei nostri giorni: tra tutti coloro che danno e ricevono regali, l'uomo e la donna di cui vi ho raccontato sono i più saggi. Sono loro i Re Magi.”


Con quest'ultima preziosa riflessione, prese in prestito direttamente da O. Henry, mi congedo, per ora, da tutti voi lettori abituali o capitati solo casuamente tra le pagine de Il Nido delle Cornacchie, augurandomi di ritrovarvi presto, e rivolgendo a voi e ai vostri cari i più sinceri auguri di un
Sereno e Felice Natale!







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