Louis Bromfield : Autunno

Q uando lo sguardo si posa per la prima volta sulla copertina di Autunno , dello scrittore americano Louis Bromfield , a catturare l'attenzione non sono né il titolo - di per sé piuttosto banale - né il nome dell'autore - ai più pressoché sconosciuto - bensì la graziosa illustrazione realizzata in origine da Pierre Brissaud per la rivista parigina La Gazette du Bon Ton , in cui sono ritratte alla perfezione tutte le sfumature della stagione autunnale: i caldi colori della natura che muta aspetto, il soffio sottile e persistente dei primi venti settembrini, e il palpabile velo di malinconia che pervade il periodo dell'anno in cui cadono le foglie, quasi a suggerire un'analogia - implicita eppure percettibilissima - con la vita che scorre inesorabile verso l'epoca della maturità , tra i rimpianti per un'esistenza ormai trascorsa e l'impossibilità di recuperare il tempo perso. D'altro canto è proprio così che andrebbe interpretato quell' Autunno -

Charles Dickens: Le ultime parole dell'anno vecchio

T
ra tutte le qualità e gli innumerevoli talenti che hanno contribuito a rendere Charles Dickens uno degli autori più popolari d'ogni tempo, ce n'è una che apprezzo in modo particolare, ed è la sua singolare capacità di riuscire a parlare al cuore di un pubblico trasversale.

Non importano l'età, la cultura o le esperienze di chi legge: nelle storie che Dickens racconta, nei sentimenti che descrive e nelle atmosfere che le sue parole sanno magicamente rievocare, tutti possiamo ritrovare qualcosa di noi: qualcosa che abbiamo vissuto, provato o immaginato... qualcosa, in breve, di insolitamente familiare.
Che questo fosse il suo intento, del resto, lo scrittore lo dichiarò esplicitamente nel 1850 quando, dando alle stampe il primo numero della sua rivista Household Words (Parole di uso familiare, appunto) egli scrisse:

“La nostra aspirazione è di entrare a far parte degli affetti domestici e dei pensieri quotidiani dei nostri lettori. Speriamo di divenire compagni di viaggio e amici di migliaia di persone, uomini e donne, di ogni età e condizione sociale...”
Ricco d'inchieste, rubriche, interviste, e romanzi pubblicati a puntate, il periodico riscosse subito un enorme successo presso il pubblico vittoriano, diventando un appuntamento fisso ed irrinunciabile, specialmente in occasione delle festività di fine anno, quando Dickens era solito proporre ai suoi lettori una serie di racconti ispirati appunto al Natale; un patrimonio letterario ricco ed affascinante, rimasto però quasi interamente inedito nel nostro Paese fino al 2014, quando la Mattioli 1885 ha iniziato a pubblicare parte della suddetta produzione all'interno della collana Experience Light.
 
Il primo frutto di questo ammirevole progetto è stato proprio Le ultime parole dell'anno vecchio: una breve raccolta di cinque storie pubblicate originariamente su Household Words tra il 1850 e il 1854.
In questi testi - tre racconti, un breve memoir, ed una satira - Dickens ci propone riflessioni relative non solo al Natale in senso stretto, ma più in generale, alla vita umana, alla società e alla politica, riuscendo ad interessare e toccare il lettore senza mai scivolare nella leziosità.
Mi aspettavo di trovarmi di fronte all'ennesimo racconto di fantasmi in tipico stile gotico, a metà tra il serio e il faceto, e invece, con mia grande gioia, ho ritrovato il Dickens che preferisco: quello che, lasciando da parte gli spiriti, torna a raccontarci gli esseri umani, le loro speranze, le loro debolezze, le loro necessità.
Lo scrittore si rivela abilissimo nel confezionare piccoli racconti dal valore simbolico: non potenziali stralci di un romanzo che durano troppo poco perché li si possa apprezzare (come avviene di solito con le narrazioni brevi), bensì storie e riflessioni perfettamente compiute nella loro concisione, piccole gemme tanto semplici quanto ricche di significato.
Siamo lontani dal celeberrimo A Christmas Carol: il Natale che l'autore ci narra in questa manciata di pagine, è il Natale nella sua dimensione più intima e spirituale, dove, come nella più classica tradizione dickensiana, non può mancare un doveroso sguardo agli ultimi: a coloro che soffrono, lottano, e affrontano giorno per giorno le difficoltà e le miserie della vita.


~ STORIA DI NESSUNO ~
Nella prima storia del volumetto incontriamo il Dickens dell'impegno sociale: quello che, con sensibilità e straordinario acume, ci racconta ancora una volta il dramma degli strati più deboli della società.
Il Nessuno del titolo non è che un uomo come tanti, un uomo con una famiglia a cui pensare, a cui dare un futuro, ma che, senza i mezzi e l'istruzione necessaria, si trova a chiedere aiuto ai potenti, quei Bigwigs (termine qui tradotto come “Parrucconi”) dal nome fin troppo esplicativo, preoccupati più delle forme che della sostanza, troppo presi dalle loro liti e dalle loro questioni interne, per preoccuparsi di tendere una mano a chi è in cerca di soccorso.
Un racconto profetico, amarissimo, e ahimè, spaventosamente attuale. Un racconto che potrebbe tranquillamente essere stato scritto ai giorni nostri per ritrarre con fedeltà e precisione la società di oggi ed i suoi governanti incapaci e indifferenti.

~ STORIA DEL PARENTE SFORTUNATO ~
Una famiglia riunita intorno al fuoco a raccontarsi storie, e tra tutti, lui: Michael, il parente "nemico di se stesso", colui che non ha avuto fortuna negli affari, sul lavoro, in amore, la cui fidanzata l'ha lasciato per un riccone, e che ora, alle soglie della vecchiaia, non ha altra gioia che la compagnia del timido figlioletto di un lontano cugino. Ma questo è quello che tutti pensano, perché in realtà il mondo di Michael è un mondo ben diverso...
Una storia dolce-amara sulla solitudine, sul potere dei sogni, e su come l'immaginazione, e quei suoi inespugnabili castelli in aria - che tutti vorremmo fossero un po'più solidi - siano spesso il solo rifugio per coloro a cui la vita ha concesso davvero troppo poco.

Charles Dickens
~ STORIA DI UNO STUDENTE ~
Una storia dal sapore fiabesco sulle meschinità del mondo della scuola e sulla cattiveria dei ragazzi verso i compagni più studiosi e tranquilli. Una storia, in realtà, che parla anche di perdono e di autentica superiorità morale, dove, come nella più classica delle favole, all'inattesa rivelazione conclusiva seguirà l'immancabile lieto fine.

~ L’ALBERO DI NATALE ~
Incontriamo qui il Dickens più intimista, nostalgico e riflessivo, che di fronte all'immagine luminosa di un albero di Natale, rievoca uno dopo l'altro tutti i ricordi natalizi, e non solo, della propria infanzia felice: le sensazioni suscitate dalle decorazioni, le impressioni mai dimenticate delle fredde notti invernali di tanti anni prima, i racconti di fantasmi narrati un tempo di fronte al focolare...
La consapevolezza dell'adulto, la malinconia per l'innocenza ormai perduta dell'infanzia, la spensieratezza del fanciullo, si avvicendano spontaneamente in un flusso di coscienza irrefrenabile in cui il Dickens autore sembra farsi da parte per lasciar spazio all'uomo - o per meglio dire, al bambino - Charles, e ricordarci che, malgrado l'età ormai adulta...
“...anch'io torno a casa per Natale. Lo facciamo tutti, o almeno lo dovremmo fare.
Torniamo tutti a casa, o almeno dovremmo tornare a casa, per una breve vacanza - in realtà la più lunga e la più bella - dal grande collegio, dove passiamo tutto il tempo a lavorare duro sulle tabelline, e ci prendiamo un periodo di riposo. Per recarci finalmente a trovare qualcuno da cui non siamo andati, nonostante l'avessimo desiderato; o qualcun altro che non siamo andati a trovare, sebbene avessimo dovuto; partendo proprio dal ricordo dell'albero di Natale della nostra infanzia!”


Household Words, 4 gennaio 1851, n °41
~ LE ULTIME PAROLE DELL'ANNO VECCHIO ~
L'ultimo brano, quello che dà il titolo alla raccolta, è una sorta di testamento in cui, con l'immancabile ironia, ma non senza un pizzico di inevitabile amarezza, sono espresse le ultime volontà di un certo signor “Mille Ottocento Cinquanta” spirato a mezzanotte del 31 dicembre.
Ci immergiamo così in una satira pungente in cui Dickens traccia un quadro impietoso della situazione sociale e politica del suo tempo, dedicando una riflessione ai tanti drammi a lui contemporanei, e puntando il dito, ancora una volta, contro le istituzioni indifferenti e corrotte. Tutto ciò, però, sempre continuando a confidare nell'avvento di un tempo più favorevole, e rinnovando l'augurio, valido oggi come allora, che quello alle porte...
“...Possa essere un anno saggio e felice per tutti noi!”

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