Louis Bromfield : Autunno

Q uando lo sguardo si posa per la prima volta sulla copertina di Autunno , dello scrittore americano Louis Bromfield , a catturare l'attenzione non sono né il titolo - di per sé piuttosto banale - né il nome dell'autore - ai più pressoché sconosciuto - bensì la graziosa illustrazione realizzata in origine da Pierre Brissaud per la rivista parigina La Gazette du Bon Ton , in cui sono ritratte alla perfezione tutte le sfumature della stagione autunnale: i caldi colori della natura che muta aspetto, il soffio sottile e persistente dei primi venti settembrini, e il palpabile velo di malinconia che pervade il periodo dell'anno in cui cadono le foglie, quasi a suggerire un'analogia - implicita eppure percettibilissima - con la vita che scorre inesorabile verso l'epoca della maturità , tra i rimpianti per un'esistenza ormai trascorsa e l'impossibilità di recuperare il tempo perso. D'altro canto è proprio così che andrebbe interpretato quell' Autunno -

“In nome del Cielo, perché il Nido delle Cornacchie?”

Se ripenso agli anni della mia infanzia, una delle prime cose che mi tornano in mente è il ricordo ancora vivido e nostalgico di tanti piccoli dettagli della vita quotidiana: i rintocchi del campanile allo scoccare del mezzogiorno; l'eccitante trepidazione di fronte a un dono da scartare; l'aroma di vaniglia all'ingresso della mia gelateria preferita; la sensazione della sabbia umida in certe piovose mattine d'estate, quando, osservando il mare plumbeo e burrascoso, mi perdevo a immaginare avventure misteriose, o a progettare storie avvincenti che poi non avrei mai scritto.
È curioso come, da bambini, basti un nonnulla per colpire tanto intensamente la nostra sensibilità: le emozioni fugaci, la musica ascoltata in un'occasione particolare, le immagini osservate realmente o soltanto viste in sogno, hanno il potere di esercitare su di noi un fascino speciale, una sorta d'incanto profondo e duraturo che difficilmente potremmo spiegare attraverso la razionalità dell'età adulta, ma che in qualche modo, anche se non ce ne accorgiamo, ci resta dentro per sempre.
Non importa quanto tempo sia trascorso, attraverso quali esperienze siamo passati, o fino a che punto la persona che siamo diventati si discosti - almeno in apparenza - da ciò che eravamo da piccoli: certe impressioni non ci abbandonano mai del tutto, e alla più tenue sollecitazione, le sentiamo riaffiorare lentamente dentro di noi, reali e presenti come non mai. Può succedere, ad esempio, quando torniamo in un luogo che non visitavamo da anni, mentre rovistiamo tra le vecchie foto e gli oggetti del passato... O magari, più semplicemente, leggendo un libro, e ritrovandoci inaspettatamente a fantasticare su sensazioni che non ricordavamo di aver mai provato e che tuttavia, per qualche ragione, ci suscitano subito un istintivo senso di familiarità.

Un po' come è capitato a me, circa una decina d'anni fa, quando, ispirata dalla mia predilezione per un certo Charles Dickens, e dal ricordo sbiadito di un vecchio film con Maureen O'Sullivan, ho avuto l'occasione di fare uno degli incontri più belli - probabilmente il più bello in assoluto - della mia vita di lettrice: quello con David Copperfield.

Il suo nome di sicuro non suonerà nuovo agli estimatori della letteratura vittoriana, ma sono certa che anche chi non ha particolare confidenza con le opere dell'epoca, avrà sentito parlare, almeno una volta, di questo "figlio prediletto" di Dickens - come lui stesso amava definirlo - indiscusso caposaldo della letteratura inglese, incentrato sulle vicissitudini di un bambino, e poi di un giovane uomo, costretto a farsi largo tra le delusioni e le difficoltà della vita, per poi trovare finalmente la propria strada grazie ad un'incrollabile forza di volontà e all'amore delle persone care.

Ma David Copperfield, in realtà, è molto più di questo. 
Lo si comprende fin dalle primissime pagine, quando la voce del protagonista ormai adulto ci accompagna tra i ricordi della sua infanzia idilliaca, trascorsa nel tranquillo villaggio di Blunderstone accanto alla giovane madre Clara e alla premurosa governante Peggotty.
C'è qualcosa di veramente speciale nel racconto di quei primi anni di vita: qualcosa di genuino, di profondamente sentito, che va ben al di là della mera finzione letteraria o dell'abilità narrativa di un grande autore: c'è, innanzitutto, l'anima autentica del Dickens uomo - ancor prima che scrittore - che grazie ad una sensibilità non comune riesce a catturare, come forse nessun'altro, l'essenza stessa dell'infanzia, con i suoi sogni ad occhi aperti, con le memorie sospese tra realtà e immaginazione, con la percezione confusa eppure vivissima dei luoghi più cari.

Blundeston, Suffolk: The Rookery  (da blundeston.org.uk)
E proprio ad un luogo in particolare è legata la storia di David: un luogo impregnato di ricordi indelebili, che scorgiamo solo attraverso il suo sguardo, e che tuttavia sembra di conoscere da sempre: quella vecchia casa, dal nome insolito, immersa nella placida campagna del Suffolk: The Blunderstone Rookery, o nella sua traduzione italiana, Il Nido delle Cornacchie di Blunderstone.


       «In nome del cielo,» disse la signorina Betsey improvvisamente, «perché Il Nido delle Cornacchie
       «Intendete dire il nome della casa, signora?» domandò mia madre. […]
       Il vento della sera fece un tal scompiglio, proprio in quel momento, fra certi alti olmi in fondo al giardino, che né mia madre né la signorina Betsey poterono trattenersi dal guardare da quella parte. Gli olmi ondeggiavano l'uno verso l'altro come giganti che si sussurrassero dei segreti; dopo pochi secondi di tregua, scossi da una violenta raffica, agitarono qua e là le loro rudi braccia quasi che le loro recenti confidenze fossero troppo maligne per la pace del loro spirito, e alcuni vecchi e laceri nidi di cornacchie sbattuti dalla tempesta, opprimendo con il loro peso i rami più alti, sussultarono come relitti in un mare in burrasca.
       «Dove sono gli uccelli?» domandò miss Betsey.
       «Gli... ?» Mia madre stava pensando ad altro.
       «Le cornacchie... Che cosa ne è stato?» riprese la signorina Betsey.
       «Non ci sono mai state da quando viviamo qui,» rispose mia madre. «Noi pensavamo... il signor Copperfield pensava... che ci fosse una numerosa colonia di cornacchie; ma i nidi erano molto vecchi e gli uccelli li avevano abbandonati da lungo tempo.»
       «Sempre lo stesso, David Copperfield!» esclamò la signorina Betsey. «David Copperfield dalla testa ai piedi! Chiamare una casa Il Nido delle Cornacchie quando non ve n'è una sola nei paraggi, e credere nell'esistenza degli uccelli perché ne vede i nidi!»
David Copperfield, Frontispiece by Phiz (1850)


Chissà, se potesse vederlo, cosa penserebbe la buona, impareggiabile zia Betsey di un blog chiamato Il Nido delle Cornacchie!
Probabilmente, sulle prime, mi lancerebbe un'occhiataccia piena di sdegno, e col suo contegno più severo mi accuserebbe di essere tale e quale a suo nipote: altrettanto priva d'ogni senso pratico e pronta a lasciarmi guidare dalla più insulsa delle fantasie... Poi, però, ne sono certa, si fermerebbe ad ascoltare, e tentando di nascondere il suo lato più sentimentale, sotto sotto finirebbe per approvare la mia idea.
Già! Perché, in fondo, Il Nido delle Cornacchie - quella dimora che, nella storia di David, deve il suo nome ad un puro slancio dell'immaginazione - non è soltanto il luogo fisico dove il protagonista ha trascorso l'epoca più lieta della vita, conoscendo la tenerezza, assaporando la felicità, ed affrontando le prime pene... Il Nido delle Cornacchie, in un certo senso, è anche un luogo interiore, dal valore universale: il luogo in cui rivive il ricordo di un'infanzia che, per quanto lontana, continua silenziosamente ad accompagnarci, a condizionare le nostre scelte, a forgiare il nostro carattere; una sorta di rifugio ideale dalle difficoltà della vita; un nido - appunto - a cui tornare, sia pur con la sola fantasia, per ritrovare la parte più spontanea e più vera di noi stessi.

È passato tanto tempo dal mio primo incontro con David, e da allora sono state moltissime le letture in cui mi sono cimentata: da alcune ho tratto grande soddisfazione; altre sono scivolate via senza lasciare dietro sé alcuna traccia significativa; altre ancora si sono impresse, nel bene o nel male, dentro di me, mutando impercettibilmente certe mie opinioni ed offrendomi nuovi spunti di riflessione; nessun romanzo però, è mai riuscito fino ad ora a prendere il posto di David Copperfield, o ad eguagliare, nel mio immaginario, le suggestioni ispirate da quel vecchio Nido delle Cornacchie: quel posto speciale in cui - non a caso - il piccolo David scopriva per la prima volta l'amore per i libri, la passione per le storie, il dono dell'immaginazione.
Un luogo irreale, certo, che a me personalmente piace considerare un po' come il simbolo di quella letteratura che amo leggere e di cui desidero scrivere: una letteratura in grado di toccare le corde più sensibili del nostro essere, di farci riflettere, divertire, commuovere, o - perché no? - anche arrabbiare!
Una letteratura di cui, insomma, valga la pena parlare, su cui confrontarsi e magari dissentire... ma che comunque, dopo aver chiuso il libro, ci lasci la sensazione di non aver sprecato il nostro tempo, e di aver invece trovato qualcosa di speciale da portare con noi... magari, anche solo quei piccoli, preziosi momenti della nostra infanzia, che credevamo di aver perduto per sempre.


...È con questo auspicio che, a tutti voi, rivolgo il più caloroso benvenuto al 
Nido delle Cornacchie!

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