Louis Bromfield : Autunno

Q uando lo sguardo si posa per la prima volta sulla copertina di Autunno , dello scrittore americano Louis Bromfield , a catturare l'attenzione non sono né il titolo - di per sé piuttosto banale - né il nome dell'autore - ai più pressoché sconosciuto - bensì la graziosa illustrazione realizzata in origine da Pierre Brissaud per la rivista parigina La Gazette du Bon Ton , in cui sono ritratte alla perfezione tutte le sfumature della stagione autunnale: i caldi colori della natura che muta aspetto, il soffio sottile e persistente dei primi venti settembrini, e il palpabile velo di malinconia che pervade il periodo dell'anno in cui cadono le foglie, quasi a suggerire un'analogia - implicita eppure percettibilissima - con la vita che scorre inesorabile verso l'epoca della maturità , tra i rimpianti per un'esistenza ormai trascorsa e l'impossibilità di recuperare il tempo perso. D'altro canto è proprio così che andrebbe interpretato quell' Autunno -

Thomas Hardy: Nel bosco.
The Woodlanders o “sulla volubilità umana”.

Non occorre spiegare a parole il fascino di un libro come The Woodlanders: basta leggerne appena qualche pagina per veder materializzarsi intorno a sé un universo sensibile, fatto di colori, suoni, ed infinite percezioni; un universo che il lettore riesce ad avvertire quasi fisicamente, dove le più genuine manifestazioni della natura s'intrecciano con le atmosfere cupe che aleggiano perennemente sul paesaggio fin quasi ad assorbirlo, come a voler simboleggiare l'estrema precarietà dell'esistenza umana e la sua infinitesima piccolezza rispetto all'immensità del creato.

Ambientata nello sperduto villaggio agreste di Little Hintock, ed incentrata sull'innato legame tra il bosco e i suoi abitanti (i woodlanders del titolo, appunto), la storia ha inizio quando la ventenne Grace Melbury, figlia unica di un mercante di legname, fa ritorno al paese natale dopo un periodo trascorso in città presso un'esclusiva scuola per signorine.
Profondamente influenzata dalla recente esperienza, ma soprattutto dalle ostinate ambizioni paterne, la ragazza si trova combattuta tra la prospettiva di un matrimonio col mite Giles Winterborne - un umile boscaiolo a cui era stata tacitamente promessa dal padre, e per il quale nutre da sempre un sincero attaccamento - e l'aspirazione a una vita diversa, più raffinata e consona alla sua nuova posizione di fanciulla colta e ben educata.
Quest'ultima possibilità sembra realizzarsi quando Grace incontra Edred Fitzpiers, un giovane ed avvenente medico di città - assai gradito allo sprovveduto Mr Melbury - dal carattere riservato e i molteplici interessi intellettuali, in grado di destare nel cuore vulnerabile della ragazza un misto di timore ed irresistibile attrazione. Purtroppo per lei, però, non è tutto oro quel che luccica.

Si dice che Thomas Hardy giudicasse The Woodlanders il migliore dei suoi lavori, e sebbene io dissenta da quest'opinione, devo riconoscere che tale predilezione non è difficile da comprendere: non solo perché il romanzo celebra con evidente trasporto la dimensione bucolica e le usanze dell'amato Dorset, ma soprattutto perché tra le sue pagine, ancor più che in ogni altra opera, emerge l'inesauribile conflitto interiore tra le due anime dell'autore stesso.
Da un lato vediamo infatti il Thomas Hardy conservatore, vittoriano fino al midollo, intimamente convinto della fisiologica incostanza degli esseri umani (specialmente se di sesso femminile), e tenacemente ancorato a quegli stessi valori che per primo metteva in discussione; dall'altro c'è invece l'Hardy anticonformista, ribelle, e critico verso la morale tradizionale al punto da imbastire la propria speculazione intorno alla questione - per l'epoca, decisamente spinosa - dell'attrazione sessuale e delle sue ripercussioni, talvolta tragiche, sulle relazioni umane.
Un conflitto, quello che tormentava Hardy, che inevitabilmente si riflette anche nella stesura del romanzo, divenuto più volte oggetto di rimaneggiamenti da parte dello scrittore, sempre più ansioso di raccontare le realtà della vita con franchezza, e quindi in aperto contrasto col rigido codice etico del periodo.

Rispetto ai più noti romanzi dell'autore, uno dei principali difetti di The Woodlanders è, a mio avviso, la mancanza di equilibrio tra le due porzioni del racconto.
Nella prima metà, infatti, la storia fatica ad ingranare e, complice anche la scarsità di eventi rilevanti, procede con una lentezza talvolta eccessiva. Molto più convincente la seconda parte, dove insieme ad una narrazione via via sempre più avvincente, e ad un ritmo finalmente sostenuto, ritroviamo anche l'Hardy migliore: imprevedibile, tragico, disilluso e, come di consueto, abilissimo nel confezionare ritratti psicologici tanto originali quanto controversi.
Rufus Sewell e Emily Woof  (The Woodlanders, 1997)
Emblematica è, in tal senso, la figura di Grace Melbury: una ragazza in apparenza altezzosa e sofisticata, ma in realtà ingenua ed irresoluta, nella cui personalità ho rivisto, mio malgrado, diversi tratti della più nota Tess. Se però le azioni della sfortunata Durbeyfield erano in parte giustificate dall'ignoranza e dalla totale inesperienza del mondo, la sconsideratezza di Grace - ben istruita e pertanto in grado di autodeterminarsi - non ha davvero scusanti.
È quasi un peccato che a vestire i panni della protagonista sia un personaggio del suo calibro: non perché la caratterizzazione sia deludente o poco efficace, ma proprio perché ella appare talmente reale, soprattutto nei suoi difetti, da risultare estremamente irritante.
Come si può giustificare, mi chiedo, la sua sdegnosa insensibilità nei confronti del povero Giles, sistematicamente usato o dimenticato da lei secondo il capriccio del momento?
Come si può non restare perplessi di fronte alla solidarietà che Grace, abitualmente indifferente ai tormenti altrui, prova di fronte alle irredente amanti del marito? Il tutto, peraltro, in nome di quella mentalità che, senza alcuna considerazione per la responsabilità individuale, classifica alternativamente la donna "perduta" come tentatrice diabolica, o come vittima incolpevole dei perversi inganni maschili.
E come si può, infine, evitare di biasimarla, quando, spinta da un gretto desiderio di rivalsa nei confronti del consorte, ella arriva ad infangare deliberatamente non solo il proprio nome ma - cosa assai più meschina - anche quello di colui che, proprio per salvare l'onore di lei, non ha esitato a sacrificare la vita stessa?
Il paradosso in tutto questo, è che, per quanto agisca in modo deplorevole, in Grace non c'è traccia di cattiveria né di falsità: i suoi sentimenti, seppur transitori e superficiali, sono sempre sinceri. Anche l'amore per cui ella si strugge, e che si affievolisce poi con singolare rapidità, non è mai frutto di finzione. Grace crede realmente di amare, ignorando però che ciò che lei chiama amore è in verità la mera risposta ad un bisogno egoistico: la necessità d'affetto, la gratificazione della propria vanità, o la semplice attrazione fisica.

“Pur avendo grande proprietà di linguaggio, Grace non riusciva a spiegare la complessità dei propri sentimenti con la stessa chiarezza con cui suo padre, che tale proprietà non aveva affatto, affermava le sue ragioni. Che Fitzpiers agisse su di lei come un bicchiere di liquore, eccitandola, precipitandola in un’atmosfera da romanzo che influenzava il suo comportamento per tutta la durata di quell’incantesimo, finito il quale ella avvertiva qualcosa di simile al rimorso, per il sentimento che aveva appena provato – Grace non poteva spiegarlo con le parole a quella rispettabile coppia di signori.”
Il difetto maggiore di Grace, però - quello che prescinde dall'empatia suscitata o meno nel lettore - risiede nell'assoluta incapacità di imparare dall'esperienza. Difatti, nonostante tutto ciò che le accade, non assistiamo ad alcuna evoluzione nel suo carattere, né vediamo attenuarsi quella tranquilla indulgenza con cui ella guarda abitualmente ai propri errori; anche nelle rare occasioni in cui Grace si duole seriamente della propria condotta, a muoverla non è mai l'autentica consapevolezza di aver agito male, ma soltanto la sofferenza per le conseguenze patite.
È anche per questo che, quando l'amato (si fa per dire!) dottor Fitzpiers, in uno slancio di entusiastico romanticismo, osa definirla:
“la più saggia delle donne che mai siano vissute”
viene quasi da domandarsi se, in realtà, costui non desideri piuttosto prendersi gioco di lei.

Proprio nel profilo psicologico di Edred Fitzpiers, giovane ambiguo e moralmente discutibile, vediamo prender corpo una delle figure più attuali - e per questo tanto più odiose - del romanzo: un uomo cinico e spregiudicato, che subito dopo aver chiesto la mano della propria amata, non si fa scrupolo di trascorrere la notte con una contadinella appena conosciuta; e che di fronte alla richiesta della fidanzata di sposarsi in chiesa, non esita a ridicolizzarne le esigenze, asserendo che:
“Il matrimonio è un contratto civile, e più lo si fa in fretta e facilmente, e meglio è. Le persone non vanno in chiesa quando comprano una casa, e nemmeno quando fanno testamento”.
Non basterà a riscattarlo neppure la provvidenziale redenzione(?) tardiva: talmente repentina, e avulsa da un adeguato percorso interiore, da risultare assai poco credibile e quantomeno sospetta.
A fare da contraltare al non troppo rispettabile dottore, in uno dei ruoli più ingrati che Hardy avrebbe potuto concepire, troviamo il povero Giles Winterborne, il vero woodlander della storia: un'anima pura e genuina come la natura dei boschi a lui tanto familiari, espressione di quel mondo incontaminato che l'autore identificava come la sola via di scampo dalla corruzione della civiltà moderna.
“Egli aveva l’aspetto e il profumo dell’autunno, con il viso del color del grano, bruciato dal sole, gli occhi azzurri come il fiordaliso, le maniche e i calzoni macchiati dagli schizzi della frutta, le mani appiccicose per il succo di mele, il cappello spruzzato di semi; ogni cosa in lui sapeva del sidro, dell’atmosfera di quella stagione che ogni anno, al suo arrivo, esercita un fascino indescrivibile su tutti coloro che sono nati e cresciuti tra i frutteti.”
È impossibile non ammirare la lealtà di Giles, la sua costanza, e la devozione incondizionata verso Grace; peccato solo che nel suo estremo sacrificio, più che l'ammirevole abnegazione di uno spirito eroico, emerga principalmente la figura di un uomo incapace di riconoscere il vero amore, e stoicamente rassegnato ad annullarsi per il bene di una donna che pur provando affetto per lui, non riuscirà mai a comprenderne i reali meriti.

Collocato a cavallo tra la prima fase della produzione hardiana, e gli ultimi e più controversi lavori, The Woodlanders mostra già, seppure in forma ancora blanda, i primi germi di quell'insofferenza verso i dogmi sociali e religiosi che culminerà poi in Tess of the d'Urbervilles e soprattutto in Jude the Obscure, lasciando affiorare, di tanto in tanto, il lato contestatore e polemico di Hardy, vale a dire quello che personalmente apprezzo meno.
Focalizzato più sul suo personale sentire che sulle effettive iniquità della società ottocentesca, egli tende infatti ad attribuire a quest'ultima - o al fantomatico destino - quelle sventure che dipendono esclusivamente dalla stupidità e dall'insensatezza dei suoi personaggi.
Non si può incolpare il perbenismo vittoriano per la triste sorte che Giles sceglie - inutilmente - di autoinfliggersi; né si può attribuire all'istruzione superiore - come vorrebbe sottintendere lo scrittore - lo snobismo e la vacuità interiore di Grace.
Va detto però che, con tutte le critiche che gli si possono muovere, per una volta è difficile accusare Hardy di aver adottato una prospettiva intrinsecamente pessimista: non è semplice pessimismo, a parer mio, quello che traspare dal romanzo: si tratta piuttosto del disincanto che nasce da un'effettiva conoscenza dell'uomo, delle sue debolezze, e del suo modo di rapportarsi alle vicissitudini della vita; una conoscenza in cui l'Hardy narratore passa in secondo piano, cedendo il posto al finissimo indagatore dell'animo umano.

Intanto, mentre la storia volge al termine e - come spesso accade nei romanzi di Hardy - chi meno lo merita conquista il suo lieto fine, a riportarci alla realtà, senza più il conforto delle illusioni ormai infrante, ci pensano i loquaci lavoratori di Little Hintock coi loro commenti sornioni, e in fondo sempre validi, sulle leggerezze e gli eterni paradossi della vita coniugale.
“Ma succede spesso che la gente si inganna, sui matrimoni degli altri», disse il contadino Cawtree. «Conoscevo un marito e una moglie – beh, visto che non ci sono estranei, non vi starò a nascondere che erano parenti miei – che per un’ora si mettevano a fare fuoco e fiamme, e sentivi l’attizzatoio, e le pinze, e il mantice e la casseruola volare per tutta casa, mentre cercavano vendetta una sull’altro; e un’ora dopo li sentivi cantare insieme “La Mucca Pezzata”, in armonia come due cherubini gemelli; sì, e avevano pure delle belle voci, e s’aiutavano a vicenda a sostenere le note più alte come due cantatori ambulanti».
«Così succede con le coppie: risolvono i problemi nelle maniere più strane”...
Ed è questo, d'altro canto, che stupisce e turba durante la lettura: l'incredibile attualità di ciò che Hardy descrive. Nel ritratto di quell'umanità contradditoria, volubile, e schiava dei propri istinti, sembra infatti di scorgere quasi una visione profetica della società dei giorni nostri, dove l'essere umano, giorno dopo giorno, si scopre sempre più incapace di amare davvero, perché, troppo concentrato su se stesso, dimentica - o per meglio dire ignora completamente - il principio stesso dell'amore: anteporre il bene dell'altro al proprio.
Solo pochi sapranno distinguersi, e saranno quelli che, come la dolce ed operosa Marty South, riusciranno a preservare la naturalezza del proprio spirito e a non lasciarsi contaminare dalle brutture della vita moderna.
Proprio lei, nella sua riservata dedizione e nel suo fedele ed inconsolabile dolore, rappresenta la vera eroina della storia... o forse, come il vecchio Thomas pare suggerirci, soltanto un'altra anima solitaria e dimenticata, di cui il nostro superficiale mondo è ancora incapace di riconoscere il valore.
“Quella fanciulla solitaria e silenziosa, che rimaneva immobile alla luce della luna, con la sua figura esile e diritta, vestita di una gonna senza pieghe, con le forme così poco sviluppate da non sembrare neppure una donna, e neppure povera, né stanca, adesso che le ombre della sera confondevano i contorni, appariva a tratti perfino sublime, come se fosse stata una creatura indifferente agli attributi del sesso, dotata in cambio della qualità più nobile di un’astratta umanità.”

Commenti

  1. Ciao Alice,
    di Hardy adoro lo stile (fino ad adesso l'ho sempre letto in inglese proprio per non perdere anche le sfumature dialettali), ma è uno di quegli autori che, un po' come Grazia Deledda, tendo a leggere poco perché mi 'deprime' molto. 'Tess' è meraviglioso ma di una tristezza inaudita, 'A pair of blue eyes' quasi altrettanto bello ma comunque decisamente non gioioso. 'Jude' credo sia uno dei più angoscianti e quindi per adesso non mi va di affrontarlo. Tu quale mi consiglieresti? Avrei voglia di rileggere qualcosa di suo, perché aveva un'abilità stilistica davvero unica, ma vorrei non si trattasse di un romanzo troppo tragico... Li ho tutti, mi manca soltanto di sceglierne uno. Grazie mille! Elisabetta

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    1. Ciao Elisabetta,
      come darti torto? Hardy non è mai un autore da affrontare a cuor leggero, o meglio, ci si può anche provare, ma a fine lettura ci si ritrova immancabilmente a pezzi, o quanto meno decisamente turbati. Il suo stile, però, è sublime sia sul piano descrittivo che narrativo, al punto che si finisce col perdonargli quasi tutto... perfino quel suo pessimismo catastrofico, al cui confronto il nostro Giacomo Leopardi parrebbe un allegro giovanotto dall'indole spensierata!!
      A parte gli scherzi, io personalmente considero Hardy uno dei miei autori preferiti in assoluto, eppure ogni volta che mi appresto a leggere una sua opera, so già che dovrò litigarci e che per buona parte della lettura mi ritroverò a rivolgergli pensieri non proprio caritatevoli: un po' per quel suo modo - per me - terrificante di vedere la vita, un po' perché, puntualmente, ai miei personaggi favoriti riserva sempre il destino peggiore!
      Mi chiedi quale romanzo non troppo tragico potrei consigliarti... Allora, posto che Hardy è quasi sempre sinonimo di tragedia, posso dirti che tra i suoi romanzi ce ne sono solo tre effettivamente più leggeri e positivi: Sotto gli alberi (Under the Greenwood Tree), Via dalla pazza folla (Far from the madding crowd), ed Estremi rimedi (Desperate remedies).
      Il primo è una placida storiella rurale con una trama molto semplice; piacevole da leggere ma, a mio avviso, un po' troppo scialba. Io personalmente l'ho trovato il romanzo meno riuscito di Hardy, l'unico che non mi ha entusiasmata, sicuramente anche per via dei personaggi.
      Del secondo forse conoscerai già la trama per via dei vari adattamenti cinematografici realizzati; non so se tu abbia visto l'ultima trasposizione, ma qualora l'avessi fatto, tieni presente che la storia raccontata da Hardy, sia come protagonisti che quanto a senso generale, è in realtà abbastanza diversa da ciò che è stato portato in scena (...e meno male, mi verrebbe da aggiungere!).
      Il terzo, che è anche il meno famoso, è invece il mio preferito dei tre. Chiariamo, Despearate remedies è un romanzo della fase giovanile - e si sente - però è particolarmente godibile e, dal mio punto di vista, anche piuttosto divertente; è una sorta di sensation novel ricchissima di colpi di scena e situazioni al limite, scritta però con l'inconfondibile stile di Hardy, con in più un epilogo decisamente più confortante del solito.
      Quindi, se vuoi cimentarti in qualcosa di non troppo tragico, e magari scoprire anche un lato meno noto del buon Thomas, personalmente ti consiglierei quest'ultimo, tenendo comunque presente che, secondo me, qualsiasi opera di Hardy, anche la meno bella, merita comunque di essere letta.
      Spero di esserti stata utile, e se deciderai di leggere qualcosa, ti raccomando di farmi sapere!
      Un caro saluto.


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  2. Ciao Alice, no, non ho visto alcun adattamento cinematografico di Far from the madding crowd. Se posso, evito; preferisco farmi guidare dalla penna dell'Autore/Autrice e non dalle scelte del regista di turno, almeno sui grandi classici. Non riesco più a leggere 'Ragione e Sentimento', senza pensare ai volti degli attori e delle attrici, e questo è un aspetto che mi disturba davvero tanto. I tuoi consigli sono stati preziosi; il prossimo di Hardy che leggerò sarà senz'altro Desperate Remedies, Anche per me lui è uno dei più grandi autori della sua epoca, ma mentre un Dickens lo leggo con grande gioia in ogni momento, con Thomas ci vado un po' più cauta. Come con la mia adorata Grazia Deledda, ne riconosco la grandezza ma non sempre sono in vena di letture 'angoscianti'; pur amando testi malinconici, il lieto fine per me è importante. Una specie di coccola a cui non so rinunciare. Grazie mille! Elisabetta

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