Louis Bromfield : Autunno

Q uando lo sguardo si posa per la prima volta sulla copertina di Autunno , dello scrittore americano Louis Bromfield , a catturare l'attenzione non sono né il titolo - di per sé piuttosto banale - né il nome dell'autore - ai più pressoché sconosciuto - bensì la graziosa illustrazione realizzata in origine da Pierre Brissaud per la rivista parigina La Gazette du Bon Ton , in cui sono ritratte alla perfezione tutte le sfumature della stagione autunnale: i caldi colori della natura che muta aspetto, il soffio sottile e persistente dei primi venti settembrini, e il palpabile velo di malinconia che pervade il periodo dell'anno in cui cadono le foglie, quasi a suggerire un'analogia - implicita eppure percettibilissima - con la vita che scorre inesorabile verso l'epoca della maturità , tra i rimpianti per un'esistenza ormai trascorsa e l'impossibilità di recuperare il tempo perso. D'altro canto è proprio così che andrebbe interpretato quell' Autunno -

Katherine Mansfield: La casa delle bambole.

Ci sono affinità, in ambito letterario, difficili da spiegare. Le avvertiamo, talvolta, nei confronti di personalità apparentemente distanti anni luce da noi: quel genere di autori che difficilmente includeremmo tra i nostri preferiti, e che tuttavia, ogni volta che incrociano la nostra strada (o magari sarebbe più corretto dire: ogni volta che noi incrociamo la loro) riescono ad affascinarci in modo singolare, ad ispirarci un'attrazione immediata e destinata a durare nel tempo.
Ricordo perfettamente il mio primo incontro con Katherine Mansfield. Avevo all'incirca quattordici anni e frequentavo il liceo. Una mattina, l'insegnante di Lettere propose l'analisi di un brano tratto dal libro di testo - un'antologia vecchio stile costituita per lo più da frammenti di varie opere letterarie - e dopo un rapido esame, la sua scelta cadde su La lezione di canto, un breve racconto scritto, appunto, da Katherine Mansfield.
Katherine Mansfield
Non saprei dire con esattezza cosa mi colpì tanto profondamente: all'epoca non ero una grande lettrice di classici - tanto meno di racconti brevi! - e, in linea generale, era più facile catturare la mia attenzione con una storia a base di magia e sorprendenti colpi di scena, che attraverso la narrazione delle pene d'amore di una malinconica maestra di canto. Sta di fatto che le inquietudini della povera Miss Meadows - così, se non erro, si chiamava la protagonista - accesero inaspettatamente la mia già fervida immaginazione, e instillarono in me un genuino interesse per il lavoro di quell'autrice neozelandese di cui, fino ad allora, avevo ignorato l'esistenza.
Tanti anni sono trascorsi da quel giorno; i racconti, a dire il vero, continuano a non rientrare tra le mie tipologie narrative preferite, e sebbene non abbia mai riletto La lezione di canto, col tempo, l'ammirazione e la simpatia per Katherine Mansfield sono divenute ancor più profonde.
Per questo, ogni volta che si presenta l'occasione, cimentarmi in uno dei suoi scritti è un'attività a cui mi dedico con immenso piacere... Lo stesso che ho provato pochi giorni fa leggendo The Doll's House, un racconto del 1922 pubblicato in origine sul settimanale britannico The Nation, ed attualmente disponibile nel nostro Paese in una nuova edizione firmata da Lettere Animate, a cura del professor Enrico De Luca.

Come in tutti i lavori della Mansfield, anche in questo caso, ciò che ci troviamo dinanzi, più che una storia, è un autentico squarcio di realtà: una realtà fin troppo comune, fatta di ostentazione, tacite convenzioni e sottili ipocrisie, dove anche un giocattolo apparentemente innocuo come una casa di bambole, diventa elemento di discrimine tra classi sociali: tra privilegiati ed emarginati, tra coloro a cui la vita ha riservato il meglio e chi, invece, può soltanto restare a guardare in disparte.
Un po' come le piccole Kelvey, figlie di una lavandaia e di un presunto carcerato, sgradite ai genitori delle compagne di scuola per via della loro condizione sociale, e pertanto non invitate - le uniche a non esserlo - ad ammirare la lussuosa casa delle bambole appena ricevuta in dono dalle sorelle Burnell, tre bambine di famiglia benestante che facevano moda in materia di comportamento”.
Una crudeltà, questa, di cui non si curano gli adulti, ciecamente aggrappati alla loro falsa idea di decoro, ma che non può passare inosservata agli occhi di chi, ancora innocente, fatica a comprendere i vuoti principi di una società autoreferenziale, e, invano, tenta timidamente di ribellarsi.

Mi piace pensare ai racconti di Katherine Mansfield come ad una sorta d'istantanea della realtà: l'equivalente di un ingrandimento fotografico in grado di catturare quei dettagli che solitamente vengono trascurati, ma che una volta immortalati dall'obiettivo, si trasformano in immagini indelebili pronte ad imporsi all'occhio dell'osservatore e a reclamarne l'attenzione.
Immagini, come in questo caso, cariche di un'inequivocabile valenza simbolica: come quella stupefacente casa delle bambole ancora luccicante di vernice fresca, con gli interni finemente riprodotti, e i suoi personaggi sproporzionati rispetto agli ambienti: impeccabile all'apparenza, ma, ad uno sguardo più attento, assai ricca di difetti e di stridenti contrasti: la metafora perfetta di un mondo superficiale dove perfino i valori morali si riducono a mera apparenza; dove ciò che conta è il modo in cui ci si mostra e si viene percepiti dagli altri, mai quel che si è davvero.
Non è un caso che, tra la ricercatezza degli arredi in miniatura e lo sfarzo delle sontuose tappezzerie, a catturare l'attenzione della piccola Kezia - la minore e la più ingenua delle sorelle Burnell - sia proprio la riproduzione di una minuscola ma incredibilmente realistica lampada ad olio...

“Stava al centro del tavolo del soggiorno, una squisita piccola lampada ambrata e con un globo bianco. Era persino riempita e pronta per essere accesa, sebbene, naturalmente, non lo si potesse fare. Ma all’ interno c’era una sostanza che sembrava olio e si muoveva quando veniva agitata.
Il papà e la mamma bambole, sdraiati rigidamente in salotto come se fossero svenuti, e i loro due piccoli bimbi addormentati al piano di sopra, erano davvero troppo grandi per la casa delle bambole. Non sembrava che ne facessero parte.
Però la lampada era perfetta. Sembrava sorridere a Kezia nel dirle: «Io vivo qui».
La lampada era reale.”
Un particolare certamente insignificante, agli occhi dei più, in cui sembra però specchiarsi la genuinità di un'innocenza che, per quanto fragile, prova ancora a rivendicare le sue ragioni contro i dettami di quel mondo artificiale e dominato dall'effimero;
il riflesso di una sensibilità autentica e piena di compassione, ancora libera dal pregiudizio e dall'indifferenza.

Servendosi di una scrittura cristallina e sottilmente venata d'ironia, la Mansfield, per arrivare al lettore, non ha bisogno di ricorrere a virtuosismi stilistici, né d'imbastire prediche moraleggianti: da esperta ritrattista qual è, ella lascia che a parlare sia l'eloquenza dei semplici fatti, sorretti dalla sola forza di poche immagini scarne ma piene di significato, da cui è difficile distogliere l'attenzione.
Ed è proprio così che si chiude il racconto: su una scena di felicità fugace dove non vi è spazio per le parole; perché la riflessione, il più delle volte, non necessita di considerazioni superflue, ed è nel silenzio, in certi casi, che scorgiamo le risposte più autentiche ai nostri dubbi.









Commenti

  1. E' sempre bello leggere una tua recensione. Ti faccio i complimenti come sempre. :) Non mai letto nulla della Mansfield, forse perché anch'io come te non amo molto i racconti. Ho però l'edizione edita della Newton dei suoi racconti; prima o poi la leggerò, prometto! ^_*

    A presto,

    Laura

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    Risposte
    1. Ciao Laura, e grazie mille!! ☺️
      Comprendo fin troppo bene le tue riserve verso i racconti; il bello di Katherine Mansfield, però, è che molte delle sue opere, a dispetto della loro brevità, sono particolarmente intense, e riescono ugualmente a colpire nel profondo il lettore, in un modo generalmente insolito per questa tipologia narrativa. Va anche detto che Katherine Mansfield era una donna straordinariamente sensibile e moderna, e in alcuni suoi scritti si nascondono delle autentiche perle di saggezza ancora oggi incredibilmente attuali ed illuminanti, perciò non posso che consigliartela!
      Se leggerai qualcosa di suo sarò lieta di conoscere la tua opinione.
      Un caro saluto!

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