Louis Bromfield : Autunno

Q uando lo sguardo si posa per la prima volta sulla copertina di Autunno , dello scrittore americano Louis Bromfield , a catturare l'attenzione non sono né il titolo - di per sé piuttosto banale - né il nome dell'autore - ai più pressoché sconosciuto - bensì la graziosa illustrazione realizzata in origine da Pierre Brissaud per la rivista parigina La Gazette du Bon Ton , in cui sono ritratte alla perfezione tutte le sfumature della stagione autunnale: i caldi colori della natura che muta aspetto, il soffio sottile e persistente dei primi venti settembrini, e il palpabile velo di malinconia che pervade il periodo dell'anno in cui cadono le foglie, quasi a suggerire un'analogia - implicita eppure percettibilissima - con la vita che scorre inesorabile verso l'epoca della maturità , tra i rimpianti per un'esistenza ormai trascorsa e l'impossibilità di recuperare il tempo perso. D'altro canto è proprio così che andrebbe interpretato quell' Autunno -

Wilkie Collins: Foglie cadute

Settembre, finalmente!
Lasciatomi alle spalle il caldo infuocato dei mesi passati, insieme agli ultimi scampoli di un'estate a cui difficilmente ripenserò con nostalgia, eccomi di ritorno al Nido delle Cornacchie con un bel carico di idee e nuovi argomenti di cui spero tanto di riuscire a parlarvi al più presto. 
Iniziamo subito con una novità editoriale di queste ultime settimane, firmata Fazi, dal titolo in apparenza decisamente attinente al periodo: Foglie cadute.
A dirla tutta, quella di novità non è forse la definizione più appropriata per questo libro che, a dispetto della recentissima ristampa (è disponibile in libreria dal 29 agosto scorso) vide la luce nel lontano 1879, pubblicato dapprima a puntate sulla rivista The World, e successivamente, nel luglio dello stesso anno, in tre volumi editi da Chatto & Windus.
La penna è quella di Wilkie Collins, celebre autore vittoriano comunemente considerato il padre del romanzo poliziesco, e ricordato, tra le altre cose, per la lunga amicizia che lo legò a Charles Dickens, con cui, nel 1851, iniziò una collaborazione destinata a durare per un decennio.
Noto soprattutto per opere del calibro de La donna in bianco o La pietra di luna, Collins, nel corso della sua carriera, diede vita ad una ricchissima produzione letteraria costituita da romanzi, racconti, ed adattamenti teatrali dei suoi stessi lavori, molti dei quali rimasti, per varie ragioni, relativamente in ombra.
Uno di essi è proprio The Fallen Leaves: il romanzo di cui ora vi parlerò... non prima, però, di avervi avvisato dell'inevitabile presenza di diversi spoiler!

“Quelli che fanno solo buchi nell’acqua nella lotteria della vita, quelli che hanno sgobbato tanto per raggiungere la felicità e non hanno raccolto che dispiaceri e delusioni, quelli soli e senza amici, feriti e smarriti”.

Sono loro le foglie cadute del titolo: quelle creature dimenticate, o peggio ancora ignorate dalla società civile, a cui non resta che trovare conforto nell'oblio, o rifugiandosi in qualche angolo sperduto del pianeta alla ricerca di un po'di pace e di un'insperata opportunità di riscatto.
È proprio da un luogo come questo che arriva Claude Amelius Goldenheart (un nome che è già tutto un programma!) ventunenne dal temperamento impulsivo e ardente, cresciuto a Tadmor, nell'Illinois, in una comunità di socialisti cristiani interamente retta dai principi del Nuovo Testamento.
Lo conosciamo durante la traversata che dall'America lo condurrà in Inghilterra, quando, armato solo della propria inesperienza e di un incrollabile idealismo, si appresta per la prima volta ad affrontare la vita. Purtroppo però, per un ragazzo come lui, vissuto fin dalla più tenera età in un microcosmo avulso dal resto del mondo, comprendere l'ipocrisia e il materialismo della società britannica non sarà facile, soprattutto se tali abitudini s'insinuano prepotentemente nella sua relazione con Regina, una fanciulla di buona famiglia di cui Amelius s'invaghisce a prima vista.
Come se non bastasse, la zia di lei, Emma Farnaby - donna fiera e risoluta, dallo sguardo perennemente angosciato - dopo aver udito la storia del giovane forestiero, decide di confidargli le proprie pene, e gli chiede, o per meglio dire lo costringe - ricorrendo perfino a qualche minaccia nemmeno troppo velata - ad aiutarla a ritrovare la figlioletta rapita sedici anni prima, poco dopo la nascita, e della cui esistenza nessuno è mai venuto a conoscenza.



A dispetto della sua piacevole scorrevolezza e di un'introduzione innegabilmente accattivante, Foglie cadute è generalmente considerato, anche dagli stessi estimatori di Collins, il meno riuscito dei suoi lavori.
Devo ammettere che, sulle prime, ho faticato non poco a comprendere le ragioni di tale nomea: infatti, a differenza delle altre opere dell'autore in cui mi sono cimentata fino ad ora, questo romanzo mi è parso tendenzialmente più compatto a livello di trama, nonché assai meno dispersivo dal punto di vista della narrazione; man mano che procedevo nella lettura, però, i motivi della sua impopolarità si sono fatti via via più chiari, soprattutto nella seconda metà, dove il racconto, iniziato sotto i migliori auspici, sembra sprecare, una dopo l'altra, tutte le sue potenzialità.
Il primo vero punto debole del romanzo, a mio avviso, risiede nell'incapacità dei personaggi, primo fra tutti il protagonista, di conquistare le simpatie del lettore.
Con un innato talento per mettersi nei guai con le donne, ed una personalità che rende pienamente giustizia al suo (non casuale) cognome, Amelius Goldenheart s'inserisce a pieno titolo tra i tipici eroi maschili usciti dalla penna di Collins: incredibilmente ingenui, totalmente sprovvisti di acume, e naturalmente predisposti ad innamorarsi - rigorosamente a prima vista! - delle fanciulle più insulse.
Nel suo caso, però, alle suddette doti, vanno ad aggiungersi un'oggettiva volubilità di sentimenti (dettata probabilmente anche dalla sua immaturità); un radicato senso di superiorità; e, malgrado egli sia convinto del contrario, una spiccata tendenza a sentenziare sul prossimo, che rendono il buon Amelius una figura a tratti piuttosto irritante.
Stesso discorso per la sfortunata Mrs Farnaby: una donna sofferente ed oppressa da un dolore inesprimibile, con cui in teoria dovrebbe essere facile simpatizzare, ma che invece, a fronte di un temperamento aspro, egoista e manipolatore, riesce piuttosto ad allontanare da sé, quasi fino all'ultimo, ogni spontaneo moto di umana solidarietà.
Altro elemento non trascurabile in The Fallen Leaves è la sostanziale debolezza del'impianto narrativo: un'inconsistenza riconducibile, in parte, all'oggettiva incapacità della storia di tenere il lettore col fiato sospeso, in parte, alla stessa natura ibrida di quest'opera, che strizzando l'occhio al picaresco, al mystery, alla letteratura di denuncia sociale, e perfino al poliziesco, finisce col risultare approssimativa e poco convincente un po'su tutti i fronti.

Un aspetto positivo di questo romanzo, per quanto mi riguarda, è stata invece l'assenza, nella voce narrante, di quella pattina di ingenuità e di inutile affettazione che contraddistingueva generalmente i precedenti lavori. Lo notiamo soprattutto nel modo in cui l'autore tratta la vicenda della povera Sally: benché, infatti, Collins non ci fornisca alcun indizio sulle sue origini, nel preciso momento in cui ella appare in scena, abbiamo la certezza assoluta della sua reale identità, e l'autore stesso, lungi dal tentare di creare un'inutile suspense, anticipa con disinvoltura ciò che il protagonista comprenderà solo molto più avanti, dando appunto per scontato che il lettore abbia ormai intuito la verità.
Tuttavia, se da un lato tale approccio mi ha colpito per l'insolita schiettezza, dall'altro ho avuto la sensazione che questa ritrovata onestà intellettuale si sia trasformata, alla lunga, in una sorta di alibi a cui aggrapparsi in assenza di un solido intreccio.
L'impressione, d'altro canto, è che questa volta la sensation novel funga meramente da pretesto per dar vita ad un più ambizioso - ma ahimè, assai meno efficace - romanzo sociale, in cui lo scrittore, sulle orme dell'amico e mentore Charles Dickens, si prefigge il difficile ed encomiabile compito di riabilitare la così detta fallen woman.
Evidentemente l'idea originaria era quella di perorare la causa ricorrendo ad una sorta d'inversione di ruoli tra la ragazza emarginata dalla società ma di fatto dotata di un cuore nobile, e la tradizionale signorina perbene in realtà egoista e d'indole mercenaria. Peccato che il caro Wilkie, forse sperando di facilitarsi il lavoro, si sia servito di due figure che, per come sono state delineate, vanificano istantaneamente tutti i suoi sforzi.
Come si poteva pensare, mi chiedo, di scuotere le coscienze di una società intransigente e perbenista come quella vittoriana, attraverso un personaggio come quello di Sally? Una fanciulla candida e dall'aspetto virginale (come Collins si premura di rimarcare) che malgrado la vita condotta,
“era come se fosse passata attraverso la corruzione delle strade senza esserne stata toccata, senza averne timore, né percezione o comprensione.”
Una figura di questo tipo non avrebbe mai potuto riscattare l'immagine della donna perduta, semplicemente perché non la rappresentava affatto: ella è un essere talmente puro, innocente ed ignaro della propria condizione, da risultare del tutto inverosimile, nonché assai più stucchevole del tanto vituperato "angelo del focolare" della miglior tradizione vittoriana.
D'altra parte, anche il tentativo di instillare nel lettore il disprezzo per la rispettabile Regina si rivela maldestro: non perché quest'ultima sia effettivamente un emblema di simpatia o di qualità positive - cosa che assolutamente non è - ma perché Collins, per renderla sgradita, insiste sul suo carattere sospettoso e sulle sue vedute ristrette.
Personalmente, però, mi domando: davvero la si dovrebbe condannare per questo suo atteggiamento? O volendo essere più espliciti: quale donna assennata, - anche nell'ultra-liberale XXI secolo, accetterebbe di buon grado la coabitazione - condotta rigorosamente alle sue spalle! - tra il proprio fidanzato e un'altra donna, dal passato, peraltro, non proprio immacolato? Mah!

Wilkie Collins (1824 - 1889)
Sta di fatto che l'autore, determinato nel portare avanti il proprio proposito, ed incurante del moralismo imperante e dei canoni tipici del romanzo dell'epoca, invece di redimere la sua beniamina attraverso una prevedibile e lacrimosa dipartita, sceglie - a sorpresa - di concederle una provvidenziale ricompensa, con tanto di ricongiungimento familiare e matrimonio.
Attenzione però a parlare di epilogo rivoluzionario: il romanzo in oggetto, infatti, benché in sé perfettamente compiuto, nelle intenzioni dell'autore non era che la prima parte di una storia la cui prosecuzione non fu in realtà mai scritta (ragion per cui alcuni nodi restano ahimé irrisolti) proprio a causa della tiepida accoglienza riservata a suo tempo a The Fallen Leaves.
È inoltre lecito supporre - con buona pace degli inguaribili romantici - che nei disegni di Collins, per i nostri eroi non si prospettasse esattamente un futuro tra i più rosei: se le ultime parole di Rufus Dingwell (amico fidato del protagonista) non sembrano infatti lasciar presagire niente di buono, fonti assai più attendibili ci rivelano che la seconda parte della narrazione avrebbe dovuto narrare il fallimento di un matrimonio, distrutto, guardacaso, proprio dalle pressioni esterne e dall'incapacità della società di perdonare le debolezze umane... Niente di così sovversivo, insomma!
Del resto, per quanto sia lecito lodare la modernità con cui Collins sembra considerare la donna, sarebbe opportuno sottolineare - a riprova di quanto poco di femminista vi fosse effettivamente nel suo pensiero - che se il caro Amelius finisce con l'innamorarsi di Sally, non è perché oltre le apparenze e lo stigma sociale egli scorge il valore umano della persona, bensì perché trova in lei l'ennesimo modello di quella femminilità arrendevole, plasmabile, e totalmente incline alla sottomissione, tanto cara alla società dell'epoca e, a quanto pare, allo stesso scrittore.
Prima edizione, 1879 (Chatto & Windus)

Dopo la bellezza di oltre quattrocento pagine di (immaginabili) rivelazioni, (prescindibilissimi) melodrammi, e (zuccherose) scene sentimentali, The Fallen Leaves arriva finalmente alla sua conclusione. Finalmente, sì: perché sebbene il romanzo intrattenga alla perfezione, è innegabile che qualche capitolo in meno - e un pizzico di tensione narrativa in più - avrebbero giovato parecchio a quest'opera.
Nonostante i limiti del romanzo, tuttavia, è difficile essere troppo severi con Wilkie Collins, perché - bisogna riconoscerlo - egli è uno di quei rari autori talmente bravi a narrare, che anche nei suoi lavori meno brillanti riesce comunque ad avvincere il lettore regalandogli sempre delle piacevoli ore di svago e di buona lettura, e in questo senso The Fallen Leaves non fa eccezione.
Di sicuro, se Collins avesse puntato più sulla trama e un po' meno sulla componente sociale, il romanzo ne avrebbe tratto un gran giovamento. Perché purtroppo, di fronte alla vicenda di Sally, il pensiero non può che tornare alle tante storie di fallen women raccontate, tra le pagine dei suoi romanzi, da un autore come Charles Dickens, che senza alcuna pretesa di idealizzarle o santificarle, ha avuto il coraggio di mostrarci queste "foglie cadute" ritraendone il loro volto più reale: quello di donne sfortunate, a volte condannate dalla propria fragilità, a volte vittime inermi della miseria o dell'indegnità umana; persone spesso segnate nel corpo e nello spirito da una vita di dissolutezza e patimenti, ma non per questo necessariamente prive di un animo nobile, o di quelle qualità che, se solo gli si desse un'opportunità, potrebbero esprimere pienamente.
Storie, ad esempio, come quella - raccontata in Oliver Twist - della povera Nancy: a mio avviso uno dei personaggi più belli usciti dalla penna del romanziere inglese, col suo carattere esacerbato dalla sofferenza, col suo coraggio di sfidare ogni pericolo pur di proteggere un bambino innocente, con quell'umanità autentica e piena di dignità che neppure anni di violenze e umiliazioni hanno potuto cancellare; con quella rassegnazione risoluta con cui va incontro al proprio sacrificio, conscia che, malgrado la generosità di chi le tende la mano, non può esserci spazio per lei tra l'ipocrisia della così detta gente perbene, né comprensione possibile in una società che pratica impunemente il vizio ma condanna senza appello chi ne è vittima.
...Ma quelle, appunto, erano altre storie, e a narrarle, dobbiamo ricordarlo, c'era Dickens.


 Consigli di lettura: Wilkie Collins - An Illustrated Guide di Andrew Gasson (OUP, 1998)

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