Louis Bromfield : Autunno

Q uando lo sguardo si posa per la prima volta sulla copertina di Autunno , dello scrittore americano Louis Bromfield , a catturare l'attenzione non sono né il titolo - di per sé piuttosto banale - né il nome dell'autore - ai più pressoché sconosciuto - bensì la graziosa illustrazione realizzata in origine da Pierre Brissaud per la rivista parigina La Gazette du Bon Ton , in cui sono ritratte alla perfezione tutte le sfumature della stagione autunnale: i caldi colori della natura che muta aspetto, il soffio sottile e persistente dei primi venti settembrini, e il palpabile velo di malinconia che pervade il periodo dell'anno in cui cadono le foglie, quasi a suggerire un'analogia - implicita eppure percettibilissima - con la vita che scorre inesorabile verso l'epoca della maturità , tra i rimpianti per un'esistenza ormai trascorsa e l'impossibilità di recuperare il tempo perso. D'altro canto è proprio così che andrebbe interpretato quell' Autunno -

Edna Ferber: So Big. Una storia americana.

“Si sedette guardandosi le mani, quelle mani forti e senza un graffio. Di colpo e d'istinto pensò a un altro paio di mani, quelle di sua madre, con le nocche ingrossate, la pelle screpolata... espressive... con tutta la sua vita scritta sopra. Le cicatrici. Lei ne aveva.”

So Big s'intitola il romanzo: So Big come il nomignolo affibbiato nell'infanzia a Dirk DeJong. Il protagonista però, non è lui, bensì sua madre Selina, ed è infatti questo il nome che Edna Ferber, costretta poi a rinunciarvi per esigenze editoriali, avrebbe voluto vedere stampato sul frontespizio del suo libro. Una scelta che indubbiamente sarebbe stata più coerente, ma le leggi dell'editoria, si sa, a volte possono essere terribilmente ingiuste... un po'come la vita.
Già, la vita; così Simeon Peake la descriveva a sua figlia:

“È tutta una grande avventura. Un bello spettacolo. Ricordati, non importa cosa succede, se sono cose belle o brutte... è comunque tutto di guadagnato.”
Certo egli non poteva sapere, allora, che ad affrontare quella grande avventura la povera Selina si sarebbe trovata presto da sola, senza nessuno su cui contare, senz'altra prospettiva di fronte a sé che trascorrere l'esistenza accanto a due zie bigotte, a meno di accettare l'incarico di maestra in una sperduta scuola di campagna. Un'alternativa che nessuna fanciulla di città prenderebbe in considerazione, ma Selina, che l'avventura della vita vuole viverla fino in fondo, non ci pensa due volte, e armandosi di ottimismo, forza di volontà, e una buona dose d'incoscienza, parte alla volta di High Prairie, un villaggio rurale dell'Illinois abitato da contadini olandesi devoti al lavoro ma totalmente digiuni di cultura.

Bellissimo personaggio, quello di Selina: una sorta di "self-made-woman" che invece di partire dal basso e raggiungere la vetta contando solo sulle proprie forze, intraprende, suo malgrado, il cammino inverso. All'inizio della storia la conosciamo come un'adolescente colta, piena di sogni, romantica, determinata, cresciuta tra romanzi e teatri, che s'immagina nei panni di Jo March e sogna di diventare la Jane Austen della propria epoca. Il suo ardore, la sua capacità di stupirsi per le piccole cose, e l'innata attitudine a scorgere la bellezza ovunque, perfino in un comunissimo campo di cavoli, le varranno la diffidenza e gli sguardi ironici della gente del luogo; atteggiamenti che non basteranno, tuttavia, a scalfire la sua freschezza, la sua vivacità, né quell'abitudine di guardare il mondo con gli occhi innocenti ed entusiasti di una bambina, e la profonda sensibilità di una donna.
“Aveva uno spirito allegro e avventuroso che non l'avrebbe mai abbandonata, anche se la conduceva in posti strani e spesso, alla fine, la lasciava a un punto morto da cui doveva poi tornare faticosamente sui propri passi. Eppure per lei i cavoli rossi e verdi sarebbero stati sempre giada e borgogna, calcedonia e porfido. La vita non avrebbe mai avuto armi contro una donna così.”
E sarà proprio questa sensibilità, paradossalmente, a decretare la sua condanna quando, in una scena tra le più graziose e meglio narrate del romanzo - una singolare asta di cestini da picnic - incontrerà per la prima volta il giovane vedovo Pervus DeJong, un agricoltore illetterato dai modi goffi e l'indiscussa avvenenza, ai cui occhi la cultura non è altro che un'inutile frivolezza, poiché
“non aiuta un contadino a coltivare le rape”.

 “Sai dove stai andando, Isabel Archer?”chiedeva preoccupata l'Henrietta Stackpole di Henry James alla protagonista di Ritratto di signora nel vederla correre incontro alla propria rovina, e la stessa domanda, personalmente, avrei tanto voluto rivolgerla a Selina.
In breve, quella grande avventura che le era stata prospettata, si rivela in tutta la sua meschinità, e Selina, la cui unica colpa è un'eccessiva ingenuità, si ritrova a fare i conti con una realtà che non aveva previsto: quella del lavoro snervante tra i campi, nella solitudine della campagna, alla completa mercè del clima, dove la terra non è più la semplice espressione della bellezza della natura, bensì la fonte primaria del sostentamento, a cui dedicarsi anima e corpo e su cui riversare, giorno dopo giorno, tutte le proprie speranze e le proprie energie.
Il legame con la terra, uno dei temi centrali del romanzo, diventerà anche uno dei tratti dominanti della stessa Selina, che mettendo da parte ogni aspirazione personale, lotterà con tutte le sue forze per garantire a sé, e soprattutto al suo bambino, un futuro migliore.
Ma come le ricorda il vecchio Aug Hempel, non è possibile vivere la vita al posto di un altro, e per quanti sforzi Selina faccia, per quanta passione ella ci metta, instillare nell'animo di suo figlio lo stesso amore per le cose semplici e il medesimo desiderio per la bellezza in tutte le sue espressioni, non sarà cosa facile, tanto più che agli occhi di Dirk ormai fattosi uomo, la bellezza a cui anelare non ha il colore dorato dei campi inondati dal sole, bensì la luce fredda e opaca del denaro e il volto impersonale della finanza.

Edna Ferber (1885-1968)
Edna Ferber - nota, tra le altre cose, come autrice de Il Gigante, da cui fu tratto l'omonimo film interpretato da James Dean, Rock Hudson ed Elizabeth Taylor - ripercorre tre decenni di storia americana, reinterpretando attraverso la figura della sua protagonista, il leggendario spirito dei pionieri e quei princìpi immortali che hanno fatto grande il suo Paese.
La prosa sciolta e di grande impatto visivo rende la prima parte del romanzo assai piacevole e coinvolgente, ma negli occasionali flash che anticipano gli eventi futuri, si legge già tutta l'amarezza e il senso di sconfitta che pervaderà la seconda metà della storia.
E infatti, quasi a voler rendere giustizia a quel titolo discutibile, ecco che col procedere delle pagine è Dirk che conquista il centro della scena, con la sua perenne indecisione, le ambigue relazioni sociali, e tutta la pochezza d'animo e la supponenza tipiche di chi non ha mai dovuto faticare per raggiungere alcun obiettivo.
Ci penseranno poi la guerra, e gli inevitabili sconvolgimenti socio-culturali che ad essa seguiranno, a consegnare definitivamente Dirk a quel "bel mondo" che pare uscito direttamente dalla penna di Fitzgerald, tra ragazze manipolatrici e fintamente emancipate e giovanotti avidi e privi di scrupoli, emblemi di una generazione che misura il successo dal saldo del conto in banca e dalle frequentazioni alla moda, e che “conosce il prezzo di tutto e il valore di niente”.

Se sia stato a causa dell'assenza di Selina - ormai relegata in secondo piano - o per via dei richiami non particolarmente allettanti alle atmosfere de Il grande Gatsby rievocate dalle descrizioni della Ferber, non saprei dirlo, ma gli ultimi sette capitoli, purtroppo, sono stati per me alquanto faticosi, soprattutto perché privi della capacità di avvincere il lettore che aveva invece contraddistinto la prima parte della narrazione.
Del resto non ci si può abituare facilmente all'idea che il meritato riscatto della protagonista, invece che nel successo di quel figlio per amore del quale ella aveva sacrificato tutto, debba realizzarsi - a sorpresa - nella figura di Roelf Pool: l'ex contadinello amante dell'arte e della letteratura che lei aveva aiutato a coltivare il proprio talento, e che, ormai adulto, è diventato la personificazione stessa della filosofia di Selina e del suo modo di approcciarsi alla vita.
È a questo punto che il romanzo - vincitore, peraltro, di un premio Pulitzer nel 1925 - si chiude, amaramente e quasi senza preavviso, lasciandoci immaginare, per un'ultima volta, il giovane Dirk, solo nel suo appartamento signorile di Chicago, a fissare, rimpiangendole, le proprie mani prive di cicatrici, con quegli occhi stanchi che hanno visto il mondo, la ricchezza, la fama, ma che, diversamente da sua madre, non hanno saputo riconoscere, se non per un istante fugace, il valore dell'autentica bellezza.

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