Louis Bromfield : Autunno

Q uando lo sguardo si posa per la prima volta sulla copertina di Autunno , dello scrittore americano Louis Bromfield , a catturare l'attenzione non sono né il titolo - di per sé piuttosto banale - né il nome dell'autore - ai più pressoché sconosciuto - bensì la graziosa illustrazione realizzata in origine da Pierre Brissaud per la rivista parigina La Gazette du Bon Ton , in cui sono ritratte alla perfezione tutte le sfumature della stagione autunnale: i caldi colori della natura che muta aspetto, il soffio sottile e persistente dei primi venti settembrini, e il palpabile velo di malinconia che pervade il periodo dell'anno in cui cadono le foglie, quasi a suggerire un'analogia - implicita eppure percettibilissima - con la vita che scorre inesorabile verso l'epoca della maturità , tra i rimpianti per un'esistenza ormai trascorsa e l'impossibilità di recuperare il tempo perso. D'altro canto è proprio così che andrebbe interpretato quell' Autunno -

William Somerset Maugham: Il velo dipinto.

Ogni volta che prendiamo in mano un romanzo e ci lasciamo trasportare dalla lettura, la sensazione è che la storia che l'autore intendeva raccontarci sia tutta lì, stampata tra quelle pagine che abbiamo sotto gli occhi. Non ci rendiamo conto, però, o forse, semplicemente, tendiamo a non farci caso più di tanto, che dietro ad ogni storia che leggiamo - sia essa un fatto reale, o il frutto della fantasia di uno scrittore - si nascondono innumerevoli altre storie, magari altrettanto interessanti, di cui ignoriamo completamente l'esistenza.
Non sto parlando della trama o delle vicende dei personaggi, bensì della miriade di retroscena relativi alla nascita stessa del romanzo: le circostanze in cui esso è stato concepito, i fatti che hanno ispirato lo scrittore, gli aneddoti particolari... quel genere di cose, insomma, che sembrano fatte apposta per appagare la nostra curiosità, ma che, soprattutto, ci aiutano a comprendere più a fondo l'opera che abbiamo dinanzi e, in un certo senso, a coglierne la vera anima.

La storia che segue, senza dubbio, puo essere considerata un perfetto esempio di ciò.
Era la primavera del lontano 1894, quando un giovane studente di medicina del St Thomas' Hospital di Londra, affascinato come molti suoi connazionali dalle bellezze del nostro Paese, scelse di trascorrere le vacanze di Pasqua alla scoperta dell'Italia, in cerca d'arte e d'avventura.
Fu proprio durante il suo soggiorno tra le colline toscane - da sempre meta prediletta dei turisti inglesi - che il ragazzo, dedito alla lettura della Divina Commedia, apprese da una giovane del posto che gli impartiva lezioni d'italiano, la vicenda di una sventurata gentildonna senese sospettata di adulterio, e perciò rinchiusa dal suo stesso marito in un castello in Maremma, affinché l'aria malsana del luogo la conducesse verso la morte.
La storia in questione è quella di Pia de' Tolomei, citata da Dante nel V canto del Purgatorio; il giovane studente britannico, invece, era il futuro scrittore William Somerset Maugham, all'epoca appena ventenne, che dalla tragedia della povera Pia rimase talmente colpito da trarne l'ispirazione per quello che, molti anni dopo, sarebbe divenuto uno dei suoi romanzi più famosi: Il velo dipinto, classico della letteratura del Novecento, adattato per ben tre volte sul grande schermo.
 
La trama del romanzo in sé è piuttosto semplice.
Frettolosamente unitasi in matrimonio con un uomo che non ama, al solo scopo di convolare a nozze prima della sorella minore, la venticinquenne Kitty si trasferisce a Hong Kong, dove il marito Walter Fane, giovane e stimato batteriologo, lavora alle dipendenze del governo inglese. Per Kitty, avvezza ai divertimenti e alla fatuità della vita di società, non è facile adattarsi al consorte, tanto premuroso e innamorato, quanto serio e riservato; così la ragazza cade tra le braccia del più maturo Charlie Townsend, avvenente vicesegretario governativo, a sua volta sposato.
Presto, però, la tresca viene alla luce, e Walter, ferito e pieno di rancore, mette la moglie di fronte a una scelta: il divorzio per adulterio, o la possibilità di seguirlo in un villaggio falcidiato dal colera, a meno che l'amante non accetti anch'egli di divorziare per poi sposarla.
Costretta dalle circostanze, Kitty parte dunque alla volta di Mei-Tan-Fu, dove tra la miseria, il dolore, e la battaglia quotidiana di un gruppo di instancabili suore, ella scoprirà ciò che conta davvero e, inaspettatamente, finirà per ritrovare se stessa.

 È uno sguardo disincantato sulla vita e sulla fragilità della natura umana, quello che Maugham, scrittore dalla penna affilata e mai banale, ci regala in questo libro.
Una prosa sobria e fluida, una lucida capacità di analisi delle relazioni personali, ed un inequivocabile richiamo alla letteratura classica: questi gli ingredienti di un romanzo di rara profondità che, presentandosi come l'ennesima variazione sul tema del triangolo amoroso, racconta in verità una storia di debolezze, silenzi, cadute, ma anche, e soprattutto, una storia di crescita interiore, rinascita, e riscatto; una storia, insomma, di vita umana.

Il primo impatto con Il velo dipinto o, per meglio dire, con la sua protagonista, può lasciare un po'perplessi: Kitty, infatti, non è il tipo di personaggio con cui risulti facile, soprattutto in principio, simpatizzare.
Allevata nel culto del denaro e dell'esteriorità, da una madre avida e materialista, Kitty è una ragazza vanitosa, noncurante, e priva di princìpi, ai cui occhi l'amore, l'onestà e la fedeltà, non sono altro che parole vuote e senza rilievo. Eppure, in lei, non vi è alcuna ombra di malvagità: le azioni che compie, gli errori che commette, le sofferenze che causa, sono solo il frutto della superficialità e dell'ignoranza morale, se così la si può chiamare, in cui è cresciuta.
Quando, suo malgrado, Kitty arriva a Mei-Tan-Fu, ecco che il velo dietro al quale ha vissuto - quel mondo finto, dominato dall'ipocrisia, dai pettegolezzi, e dalle vuote abitudini mondane - si squarcia, offrendo, per la prima volta, alla sua vista la vita vera, fatta di lavoro, sacrificio e dedizione, dove la malattia, la sofferenza e il degrado non sono parole astratte, ma rappresentano la normalità; dove vivere equivale a giocare una partita quotidiana contro la morte; dove la popolarità non ha niente a che vedere col frequentare i salotti dell'alta borghesia, ma deriva piuttosto dalla capacità di provare compassione per il prossimo, di recare sollievo a chi soffre, di fare una carezza a un bimbo abbandonato.
Sarà a contatto con questa realtà nuova e difficile, che la spaesata Kitty vedrà crollare, uno dopo l'altro, tutti i suoi falsi miti: l'inutilità della propria vita e la vacuità del proprio essere si paleseranno pian piano di fronte a lei, e la giovane sprezzante ed egoista, giorno dopo giorno, cederà il passo alla donna umile e volenterosa, determinata a dare il meglio di sé, e sinceramente alla ricerca di qualcosa che, fino ad allora, non aveva mai preso in considerazione: il senso della vita.

“Tutto passava, e quale traccia restava del passaggio? Sembrava a Kitty che tutti loro, il genere umano, fossero come le gocce d'acqua di quel fiume e corressero, flutto anonimo, al mare, ognuno così vicino all'altro e tuttavia così separato. Poiché le cose duravano un tempo così breve e niente contava granché, era triste che gli uomini, annettendo un'importanza assurda a cose insignificanti, rendessero sé stessi e gli altri tanto infelici.”

Ed è così che il viaggio nel cuore della provincia cinese, diviene in realtà, per Kitty, la metafora di un viaggio molto più profondo: quello dentro se stessa, alla scoperta della propria personalità e, soprattutto, della vera strada per la serenità, imparando che, come le ricorda la saggia Madre superiora:

“Non si può trovar pace nel lavoro o nel piacere, nel mondo o in un convento, ma solo nella propria anima.”

È affascinante la naturalezza con cui Maugham si addentra nell'interiorità della protagonista, ma ancor di più lo è l'onestà attraverso cui egli ci descrive la sua progressiva evoluzione psicologica e morale.
Non a caso, diversamente dalla miglior tradizione letteraria, l'epifania di Kitty non ha origine dalla scoperta della fede: la religione, ammantata da un'aura d'imperscrutabilità e di misteriosa trascendenza, risulta infatti incapace di recare conforto all'animo tormentato della ragazza.
Eppure sarà proprio grazie all'immagine beata delle monache francesi, così irraggiungibili e al di sopra degli umani turbamenti, che Kitty si sentirà spinta a cercare la chiave della propria esistenza, la via per una vita diversa e finalmente ricca di significato.

“[Le suore] sono meravigliose e così buone, eppure, non so come dire, fra di noi c'è un muro. Non so cosa sia. È come se possedessero un segreto che fa la loro vita tanto diversa e che io non sono degna di condividere. Non è la fede, è qualcosa di piu profondo e più... più importante: si muovono in un mondo diverso dal nostro, a cui noi resteremo sempre estranei. Ogni giorno quando la porta del convento si chiude dietro di me ho la sensazione che per loro ho cessato di esistere.”

A fare da contraltare a Kitty, protagonista e fulcro stesso della storia, vi è l'ombrosa ed enigmatica figura del marito. Sono pochi i tête-à-tête tra i due, ma ogni apparizione di Walter porta con sé un tale carico di pathos da rendere quest'ultimo, a parer mio, uno dei personaggi più interessanti del romanzo: un uomo introverso e profondamente sensibile che tenta di nascondere la sua estrema vulnerabilità dietro una maschera di freddezza e di apparente imperturbabilità. Al pari di Kitty, anche noi impariamo a conoscerlo poco per volta, scoprendo progressivamente le molteplici sfumature e peculiarità del suo animo tormentato e risoluto.

“Vagamente, come quando si studia una lingua straniera e si legge una pagina senza dapprima comprenderne nulla, finché una parola o una frase d'un tratto ci illumina, e un sospetto del senso, per così dire, balena nella mente confusa, così, vagamente ella ebbe un sentore dei congegni mentali di Walter. Fu come un paesaggio oscuro e sinistro intravisto alla luce di un lampo e subito inghiottito di nuovo dalla notte. Rabbrividì a quella vista.”

Perfettamente calibrato in ogni sua componente, e sorprendentemente in grado di far vibrare corde insospettabili nel cuore del lettore, Il velo dipinto deve buona parte della sua intensità anche alla scrittura fortemente cinematografica di Maugham: una maniglia che si gira... un cadavere sul ciglio della strada... due lacrime silenziose sul viso di Walter... un'ultima frase caustica sulle labbra di un moribondo... Semplici flash, che con tutta la loro eloquenza, s'imprimono in modo indelebile nella mente di chi legge, evocando sensazioni e stati d'animo, con un'efficacia difficilmente eguagliabile dalle parole più ricercate.

William Somerset Maugham
Intanto, mentre sullo sfondo si consuma la tragedia di un popolo decimato dal colera, sotto ai nostri occhi si concretizza dolorosamente il dramma personale dei giovani coniugi Fane; e se il risveglio di Kitty e la sua presa di coscienza, ci hanno consentito, pagina dopo pagina, di imparare a comprenderla, ad apprezzarla, e a fare il tifo per lei, è difficile non provare un istintivo moto di delusione quando, dopo un tale percorso interiore, la vediamo cadere di nuovo, inciampare per l'ultima volta sui soliti vecchi errori, e lasciarsi inghiottire, per un momento fugace, dal buio più fitto: quello che, come da tradizione, precede - finalmente - l'avvento dell'alba.
Ma quanta verità c'è nella penna di Maugham! Quanta sincerità in questa rappresentazione della fragilità umana in ogni sua forma: perché, nella realtà, il dolore, pur insegnando tanto all'uomo, non gli impedisce di cedere nuovamente alle proprie debolezze; perché la consapevolezza delle grandi miserie della vita, pur ridimensionando le pene individuali, non sempre riesce a curare le più intime sofferenze dell'anima; perché l'amore, pur autentico e sincero, spesso non sopravvive alla delusione, e in un cuore profondamente ferito, malgrado tutto, a volte non resta spazio per il perdono.

Le ultime pagine del libro ci consegnano un epilogo dal sapore vagamente sentimentale in cui trova piena espressione uno dei messaggi più importanti e positivi de Il velo dipinto: quello della speranza. Maugham, infatti, incurante delle convenzioni e del senso comune, non teme di mostrare che la dignità, l'amor proprio, e la moralità non sono prerogative esclusive di chi è cresciuto nella fede o ha avuto modo di incontrarla, ma valori universali perseguibili da ogni essere umano in quanto tale: perché - egli sembra volerci ricordare - gli errori del passato non precludono la possibilità di un futuro diverso e di una vita onorevole, a patto che si abbia il coraggio di guardarsi dentro, l'onestà di prendere atto dei propri sbagli, e la determinazione d'intraprendere una nuova strada.

‘Il sole si levò, dissipando la nebbia, e lei vide, serpeggiante a perdita d'occhio tra i campi di riso, attraverso un fiumicello e le morbide curve della campagna, il cammino che avrebbero seguito. Forse le sue colpe e le sue stoltezze, l'infelicità che aveva patito, non erano state del tutto vane se lei fosse riuscita a seguire il cammino che ora intravedeva confusamente davanti a sé; non il cammino di cui le aveva parlaro quel buffo e buon Waddington, e che non portava da nessuna parte, ma il cammino seguito così umilmente dalle care suore del convento, il cammino che portava alla pace.”

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